Questa è la storia di un viaggio di nozze di due miei amici che ha in comune con le altre lune di miele solo l’essenziale: due sposi, che vogliono godersi il loro primo tempo insieme, debuttare nel mondo come neo-famiglia e vedere l’effetto che fa. C’è chi la supera e chi si schianta già alla prima curva. Vedremo.
Per il resto è una storia del tutto diversa:
Il romanticismo? C’è anche quello, ovvio, è pur sempre una luna di miele, ed è della migliore qualità, fatto di complicità, passione reciproca e sostanziose dosi di sesso, sulle quali i due piccioncini non mi hanno taciuto nulla.
Insomma, è una storia che sarebbe stato il caso di nascondere e invece me l’hanno raccontata e chiesto di raccontarla. Cioè, fossi in loro, l’avrei messa nella cartella “delete” e non ci avrei pensato più. Ma io non sono loro e loro sono di pasta speciale.
A me, poi, piace raccontare storie ed eccoci qui.
Mirella e Marco
Eccoli gli sposi. Sono in una vecchia Opel su una strada statale dell’Andalusia a pochi chilometri dal confine con il Portogallo. Vorrebbero andare a Parigi, dove li aspettano amici e serate jazz, ma l’auto non è dello stesso parere. Sbuffa, perde colpi, arranca e infine sfiata. Letteralmente, esala. Marco, ciuffo al vento su 1.85 da ex giocatore di basket leggermente ingobbitosi sui libri per diventare un prof universitario, aggiunge acqua al radiatore, ma sa che il catorcio è da buttare. Lo sa anche la società di rent-a-car che gliel’ha affittata.
“Resista fino a domani signor P. Dorma a La Huelva che intanto le troviamo una nuova macchina”, promettono.
Sono convolati a nozze una settimana prima, a Faro, dove la famiglia di lei si è trasferita. Dal sì, pronunciato in maniera un po’ distratta al delegato del sindaco in fascia blu-stellata d’Europa per celebrare lo sposalizio internazionale, hanno inanellato una serie di sfighe notevoli, alcune molto gravi. Tra queste l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull – una promessa di sciagure già dal nome – , che in quella primavera si libera dell’inferno che si porta dentro, riportando l’Europa alla notte dei tempi. Il cielo nero di cenere taglia le ali agli aerei, che restano terra, e azzera la disponibilità di auto a nolo, prese d’assalto da turisti e viaggiatori. A loro due, sposi freschi, è toccata l’ultima rimasta in città: la peggiore.
Mentre aggiunge acqua, Marco vede l’insegna di un motel a 500 metri, il massimo che la vecchia culona tedesca può aggiungere ai 300 mila chilometri già sul suo groppone. La indica a Mirella, che si stringe nelle spalle, bianchissime e morbide come panna nella quale affondare il muso. “Sì, può andare”, lascia capire la sposa, che per sottolineare la decisione si abbassa per una attimo gli occhiali da sole rivelando due occhi dal taglio allungato e sottile, con le ciglia un po’ più scure dei capelli biondo oro e le iridi un po’ più chiare del verde della livrea estiva indossata dalla quercia sotto la quale sono parcheggiati.
Il Motel de La Luna – quale nome migliore per una coppia in viaggio di nozze? – per una notte può andare, benché anche Mirella abbia fretta di raggiungere Parigi. Mezza licenza matrimoniale è già sfumata per un funerale. Eh sì, altro che vulcano, che di per sé già sarebbe contrattempo da tramandare ai nipoti. E non un funerale qualsiasi: quello del padre di lei, che come suo costume non ha esitato a rubare la scena agli altri per concentrarla su di sé, morendo il giorno dopo il matrimonio della figlia in uno scontro frontale sulla statale che lo riportava a casa dal circolo della pesca.
E che vuoi fare, parti per il viaggio di nozze? Burocrazia mortuaria a parte, c’è una madre-suocera di cui occuparsi e da convincere a rinunciare all’esilio dorato nel Sud del Portogallo per vivere la vedovanza vicino alla figlia che vive in Italia. E, ovviamente, ci sono il dolore, i sensi di colpa, i rimpianti, le recriminazioni taciute che rendono memorabili più di ogni altra cosa queste occasioni. Sintesi: una settimana vola via, l’India, meta originaria sfuma, si ripiega sulla Ville Lumiere. Lì ci sono amici, club di fiducia e petti d’anatra da mangiare bevendo Bordeaux. Una settimana, non di più: il lavoro, la carriera, di ricercatrice di fisica lei, di sociologo militante lui, e soprattutto le aspettative altrui attendono entrambi. Per un viaggio più appropriato ci sarà occasione. Hanno 28 anni lo sposo, 27 la sposa: il tempo e il danaro non mancano.
“Siete sicuri di volervi fermare lì?”. Il meccanico-oste della stazione di servizio dove sono fermi, non nasconde la sue perplessità, servendogli un panino al formaggio. “Io insomma…, cioè, andrei verso il centro della città o verso le spiagge”.
Lui ci andrebbe, la tedesca meno: solo un trapianto del suo cuore meccanico potrebbe smuoverla da lì. Gli sposi, inoltre, hanno già deciso: è una sola notte, che fa?
Da quel momento in poi, però, le cose vanno molto veloci e in direzioni inattese, che quasi li travolgono.
Ma chi sa già da prima quello che davvero lo aspetta?
Mirella, Marco e Pedro
Pedro si stava stappando forse la seconda, forse la terza Estrella da 50 cl del pomeriggio quando li vide arrivare su quel catorcio con targa portoghese. Era il portiere del motel, nonché tuttofare e proprietario anche se in compartecipazione minoritaria con le banche che gli avevano ipotecato anche le mutande, e pensò che con tutte quelle responsabilità un po’ di decoro ogni tanto non gli facesse male. Si ravvivò con la mano destra i circa tre capelli che gli ricoprivano da un orecchio all’altro il cranio calvo e lucido di sudore, lasciando a mezz’aria il cavatappi che impugnava nell’altra mano con incontestabile perizia. Erano clienti e un po’ di riguardo ci voleva, d’accordo, ma restava indeciso se soddisfare subito la sua inesauribile sete o darsi arie da grand hotel. D’altronde, quelli che capitavano in genere da lui, oltre ai camionisti dell’est Europa, erano spiantati o coppie in cerca di intimità clandestina e insomma, tanto, valeva che…
Ma appena li vide dirigersi verso la reception, che altro non era che una guardiola piazzata nel mezzo del cortile a semicerchio sul quale si affacciavano le stanze e sorgeva una piscinetta azzurrognola, decise definitivamente di rinunciare alla birra. Non aveva mai visto una coppia così da quelle parti. Almeno non negli ultimi 5 anni e a dirla tutta non aveva mai visto neanche portoghesi vestiti in maniera così affettata e in una giornata così calda, poi.
Ma erano davvero portoghesi?
Appena lo salutarono capì che la s del “buenas tarde” lanciato a metà strada era troppo decisa per essere iberica. Erano italiani – eh già chi altri con quell’aria da fighetti? -, o almeno lo era il ragazzo, l’unico ad aver salutato. A dirla tutta, neanche di italiani, camionisti a parte, se ne erano mai visti molti nelle stanze del suo motel. Benché la ragazza fosse rimasta dietro, il portiere guardò prima lei. Era uno schianto spaziale: una stanga di un metro e 70, coscia lunga e gonnellino EA7 corto, capelli raccolti e zoccoletto Dior vintage alla “gaurdami-guardami“ (per non dire qualcosa di più concreto e carnale) che attirava l’attenzione tanto quanto i capezzoli puntuti che si affacciavano dalla canottiera, sottile e corta. Doveva essere molto giovane, pensò il portiere, anche se lo sguardo da gatta e il sorriso un po’ sfuggente disegnato sulla bocca piccola e carnosa, la facevano sembrare più adulta. Lui, allampanato e un po’ caracollante, mostrava all’incirca la stessa età, ma valeva decisamente meno sguardi: aveva l’aria del poeta triste e con quel ciuffo che gli cascava dalla fronte sembrava un fessacchiotto. Dopo quell’analisi da esperto dell’umanità, il portiere-tuttofare concluse che quei due meritavano decisamente la sua massima attenzione. Ripose rapidamente la bottiglia nel minifrigo sotto la scrivania e fece un rapido calcolo mentale: +40% della sua tariffa solita di 40 euro a notte e 25 per qualche ora facevano rispettivamente 56 e 35 euro. Clienti speciali, prezzo speciale.
“Non essere ingordo, Pedro” si disse il portiere-azionista e decise di arrotondare a 50 e 30. Se avesse chiesto di più sarebbero oggettivamente scappati, pensò.
“Ha una stanza per questa notte? Abbiamo l’auto che non va e non se ne trovano altre. Sa il vulcano…”, fece lei in uno spagnolo da manuale, “s” comprese.
“Una? Ma quante ne vuoi bellezza del papà. Una per te e una per lui, che magari a te, io, ti vengo a trovare questa notte, eh bella?”. La tentazione di dirlo fu fortissima, ma Pedro fece il suo secondo atto ti contenzione del pomeriggio. Si limitò a esprimere i suoi apprezzamenti indugiando sul corpo della ragazza e a confermare che, per pura combinazione, aveva libera la più grande del motel, anzi la migliore.
“Me l’hanno lasciata proprio questa mattina due olandesi che sono stati qui alla grande una settimana intera. Dà sul mare ed è silenziosa. Sono… ehm… 65 euro. La colazione potete prenderla all’ora che volete al bar qui di fianco, dal quale si entra anche dal cortile del motel. È di un mio cugino che sa il fatto suo. Ci potete anche cenare. La colazione, ehm…, ovviamente si paga a parte”.
Marco e Mirella si guardarono. 65 euro un motel lo avevano pagato solo nella Death Valley in pieno agosto e decisamente di un livello superiore, ma tanto era una notte sola e non erano in condizione di scegliere.
In attesa di risposta, Pedro, tamburellava con le dita sulla scrivania di formica, mostrando una sorta di cortese impazienza, dovuta più all’Estrella nel frigo che all’affare. “Va bene accogliere con gentilezza e decoro, ma la sete è sete, pivelli”. Ma non disse neanche questo. Si limitò ad osservarli e a imprimersi lo sguardo portentoso di lei nella mente. Ci sono donne che per ricordarsele tutte devi guardarle più volte e a lungo, altrimenti hai sempre il dubbio di esserti perso il meglio.
Fu Mirella a chiudere la faccenda passandosi la lingua sulle labbra, rese ancora più scarlatte dal suo lipstick preferito rosso fuoco, e con una scrollata di spalle rivolta a Marco. Il movimento le fece abbassare la canottiera di quel tanto sufficiente da far sperare a Pedro rivelazioni importanti sul quel seno piccolo, ma prepotente. Il capo-motel si sporse in avanti come attratto da una calamita, ma niente da fare: non si vedeva nulla di più. Grugnì e sperò che la coppia avrebbe approfittato della piscina per dargli occasione di approfondire la conoscenza con quelle mammelle da italiana chic. Sempre che fossero rimasti.
“Ok”, disse Marco. “Nostra. L’aria condizionata funziona?”. Nel baracchino-portineria-ufficio faceva caldo e il ventilatore non sembrava sufficiente a rinfrescare un bel nulla.
“Alla grande, caballero. Si dovrà mettere il maglione se è un tipo delicato e mi sa che lei un pochino lo è”.
Mirella e Marco si scambiarono di nuovo uno sguardo e si misero a ridere. Era tutto così grottesco in quella loro luna di miele che le osservazioni di un portiere di motel, non potevano costituire un fastidio, ma solo un coerente contrappunto a tutto il resto.
Pedro porse la chiave numero 12 dopo aver dato appena uno sguardo ai documenti.
“Benvenuti Mirella e Marco, ero sicuro ch’eravate italiani. Vi troverete bene. Più tardi fate una capatina da Ramon, mio cugino per una birretta e non dimenticate la piscina per rinfrescarvi un po’. Non ve ne pentirete: è piccola, ma pulita e con la temperatura dell’acqua al punto giusto”, disse con la soddisfazione di chi aveva detto la prima verità della giornata.
“Ci penseremo, grazie”.
“Ehm…., si paga anticipato, sapete è un motel questo, gente che va e gente che viene”. Questa volta non li stava fissando: guardava oltre le loro teste come se si stesse rivolgendo a una folla di ospiti in attesa nel cortile.
Quando Marco tirò fuori l’American Express, il portiere ebbe un sussulto come se avesse visto una pistola.
“Eh no, caballero, solo contanti”.
“Non ne abbiamo a sufficienza. O carta o deve aspettare che facciamo un prelievo”.
“E dove lo fa?”.
“Al distributore hanno un bancomat, ho visto. Un quarto d’ora vado e vengo”.
“Fuori uso da anni. Occorre andare in città”.
“Ho la macchina morta”.
Pedro sembrò attraversato da pensieri funesti e dopo quello che sembrò uno sforzo molto faticoso, venne fuori con la soluzione.
“L’accompagno io, più tardi, appena posso. Intanto segno”.
E segnò per davvero, con un cipiglio professionale che non gli impedì di osservare le natiche di Mirella diretta con Marco verso l’auto. “Anche il culo è magnifico” decise il portiere, che si godette la vista stappando finalmente l’Estrella.
La camera 12, l’ultima dell’ala destra del semicerchio sul quale erano disposti i bungalow e di fianco al passaggio che portava al bar, era la classica stanza da motel: all’esterno piccola veranda con tavolino; all’interno lettone su di un lato, bagno e cucinino con frigo e microonde sull’altro. Tutto – mobili, tv, coperte, elettrodomestici – aveva la patina giallastra delle cose vecchie e un po’ consunte, eccetto il grande specchio montato su un treppiede mobile, che appariva lustro e nuovo di pacca, quasi una chiccheria fuori luogo. Ma ciò che per davvero nobilitava l’ambiente era l’ampia vetrata con vista sulle basse dune della spiaggia, alla fine delle quali brillava l’Atlantico. Circa la temperatura interna Pedro aveva avuto ragione: era da maglioncino. A patto però che il condizionatore fosse al massimo, il che era raro: a intervalli del tutto arbitrari si spegneva a lungo, facendo schizzare in alto il termometro. Poi, in maniera altrettanto capricciosa, riprendeva a sbuffare aria gelida, facendo calare la tensione della corrente. Luce-caldo, buio-freddo erano più che semplici associazioni di idee nella 12: erano certezze sensoriali.
Portata la macchina di fronte all’ingresso del bungalow i due sposi ne estrassero il minimo indispensabile per una notte. Si sentivano esausti a causa del caldo, del viaggio, dei contrattempi e delle emozioni che avevano accumulato nei giorni precedenti.
Si misero a letto nudi, uno accanto all’altro, tenendosi per mano, con le dita incrociate nella penombra della stanza e si addormentarono quasi subito.
“Vabbè, dai, almeno il letto è giusto”, fu l’ultima frase di Marco lasciata cadere, dopo aver cercato con finta noncuranza il capezzolo destro della moglie.
“Non ora Marco, sono morta, ma stasera ti prosciugo, non ne posso più neanche io”, fu l’ultima frase di Mirella.
Da quando si erano sposati non avevano mai fatto l’amore, loro che facevano sesso anche più volte al giorno: la sera delle nozze erano troppo ubriachi anche per baciarsi e i giorni successivi troppo presi dalla tragedia.
Marco non fu l’unico a restare deluso dall’ennesima procrastinazione di quelli che ormai erano anche doveri oltre che piaceri coniugali. Ci restò male anche Pedro, appostato nella stanza di fianco, che li osservava da un foro grande abbastanza da vedere lo specchio posto di fronte al letto. Non lo aveva aperto lui quel buco, ma qualche sporcaccione di passaggio, che non si era accontentato di sentire la coppia di turno, ma voleva anche vedere. Quando Pedro lo scoprì si armò di malta, ma poi ci ripensò e praticò altri fori anche in altre stanze. Divenne un business parallelo, l’erogazione di un servizio speciale in più, di cui lui era oltre che fornitore, primo fruitore. “Solo un controllo di qualità”, diceva a se stesso, sfregandosi le mani, ogni volta che valesse la pena buttare un occhio. E spesso, non erano solo le mani quelle che si sfregava.
La coppia di sposi dormì forse per la prima volta in maniera tranquilla dopo giorni di sonni brevi e agitati e quando si svegliarono, con il sole ancora alto nel cielo di giugno, il loro umore era decisamente diverso.
“Andiamo alla spiaggia?”.
“Meglio piscina e birretta. Anzi, un bicchiere di vino bianco ghiacciato”, disse Mirella, che scelse il suo costume più succinto. La lontananza dalla casa dei genitori la stava facendo sentire più rilassata, con i sensi che si risvegliavano insieme con tutti i desideri carnali fino a quel momento repressi.
Marco intuì che la moglie stava tornando in forma sotto ogni punto di vista e festeggiò la novità con un’erezione che Mirella notò, finse di ignorare e lasciò crescere, mettendo mano ai pezzi migliori del repertorio seduttivo che sapeva avere effetto sul marito. Si spogliò e rivestì lentamente, più provando varie mise e acconciature, mentre si rimirava nello specchio; si controllò la depilazione stendendo le gambe e arcuando i piedi lunghi e sottili, roteando la caviglia; si massaggiò con la crema solare, soprattutto nei punti nei quali ne aveva meno bisogno, come seno e natiche. Fu solo mentre stavano per uscire che gli prese tra le mani il membro evidentemente ancora duro nel costume e prima di piegarsi per dargli una succhiata veloce e superficiale, baciò Marco in bocca.
“Ferma, che mi fai venire sulla porta, come uno stronzo”, la implorò lui.
“Hai ragione, è ora di andare, non di venire, ma non sai la voglia che ho. Neanche te lo immagini di cosa sarei capace”.
Lo immaginava Marco? Lui era convinto di sì e nei dettagli. Ma sarebbe stato smentito. Con Mirella funzionava così e lui non non l’avrebbe mai cambiata con nessuna, anche per questo.
Neanche li avesse sentiti, il portiere si fece trovare che trafficava intorno alla piscinetta e li accolse con una “Buenas tarde” che sembrava un fuoco d’artificio col fischio. Era sinceramente contento di vederli. Soprattutto di rivedere Mirella alla luce del sole e non attraverso uno specchio.
A guardarla con comodo, la ragazza italiana era anche meglio di come l’aveva giudicata: flessuosa, caviglia sottile, gambe slanciate che fiorivano in due natiche pronunciate e sode. Solo il seno lasciava a desiderare per i gusti dell’oste: una seconda, avrebbe scommesso, ma le mammelle erano perfettamente rotonde con due capezzoli grandi e sfrontati, che il costume striminzito conteneva controvoglia.
“Quelle mossette da stronzetta viziata te le farei fare io a modo mio”, sembrava pensare mentre la osservava sistemarsi i capelli dietro l’orecchio.
Ovviamente si tenne anche questo per se.
“Bene, bene, la piscina a quest’ora è la soluzione migliore. Il mare è sempre un po’ mosso verso il tramonto. Birretta?”, chiese.
“Vino bianco, se ne ha”, ribatté Marco .
“Solo birra qui, ma corro a prenderne una bottiglia di bianco da mio cugino”.
“Questo ti scopa con gli occhi”.
“Lascialo fare”, replicò Mirella stendendosi sul lettino da spiaggia in una posa da divinità greca. “Arrapare gli altri mi arrapa da morire, lo sai. E quel vecchio porco verrebbe anche se solo lo fissassi dritto negli occhi”.
“Ecco, evita di guardarlo, per l’amor del cielo. Ci manca anche un bavoso, ora. Siamo, finalmente, in viaggio di nozze o no? Sei felice?”.
Mirella ignorò entrambe le domande aprendo il suo libro di lettura, ma effettivamente evitò di guardare negli occhi il portiere, quando questi tornò con una caraffa di vino ghiacciata. Fece in modo, però, che ne bevesse anche lui, usando il terzo bicchiere che guarda caso aveva portato con se, rispondendo lungamente alle sue curiosità. Voleva che continuasse a guardarla da vicino: oltre Marco, del resto, era l’unico maschio in circolazione e Mirella quel pomeriggio voleva essere ammirata.
“Come mai parlate così bene lo spagnolo?”.
“Erasmus, vacanze e after-hours sulla spiaggia. Soprattutto questi, i migliori per imparare tutte le lingue”, spiegò l’italiana che al riguardo la pensava in maniera un po’ diversa da quel che aveva detto: per lei il metodo migliore per imparare qualsiasi lingua è frequentarne i parlanti a letto. Ma perché dirlo? Il portiere l’avrebbe presa come richiesta per un ripasso ed era meglio evitare.
Via via che la caraffa si vuotata, i quesiti di Pedro si facevano sempre più intimi e le risposte di Mirella sempre più spesso accompagnate da risatine di finto imbarazzo e occhi al cielo, che le donavano un’aria svagata e sexy.
Tenetelo a mente: Mirella la dottorata in fisica quantistica, ama fare la cretina. Quel che talvolta la inquieta – lo dice spesso lei stessa – è che ci riesce benissimo.
Marco, invece, parlò pochissimo, ma fingendosi distratto in realtà si godeva a pieno lo show di sua moglie, che cambiava di continuo posizione alle gambe. Tanto Mirella era esibizionista quanto Marco un voyer e questo era stato sin da subito uno dei tanti punti sui quali combaciavano perfettamente, anzi si compenetravano.
Il gioco finì quando volle Mirella e lo fece terminare testando fino in fondo l’intensità della presa che esercitava sul portiere. “Ora lasciaci soli e porta altro vino, siamo in viaggio di nozze sai?”, ordinò all’improvviso, seccamente e passando al tu. Il portiere sembrò colpito da uno schiaffo, ma si vedeva che era pronto a porgere l’altra guancia. Con un sospiro si alzò dal lettino sul quale era seduto e trottò verso il bar.
“Non ti ha staccato gli occhi dai piedi per un secondo”, fu l’unico commento di Marco quando Pedro fu lontano.
“Lascia perdere. Ha guardato anche altro, ma diciamo che sente i piedi gli unici a sua portata di mano”.
“O di lingua”.
“Ma se lo può scordare. Troppo sudato”.
Quando Pedro tornò, Mirella sentì casualmente l’esigenza di allargare le dita dei piedi. Finse di volersi togliere il reggiseno del costume, ostentando un’indecisione che tenne il portiere con il fiato sospeso, ma poi vi rinunciò. Lo avrebbe fatto volentieri per sé stessa, ma voleva fermarsi lì con quell’uomo sempre più sudato.
“Farò un bagno disse” e si immerse nell’acqua mentre Pedro versava le ultime dita di vino a Marco.
“Segno anche questo?”
“Segni. A proposito l’aria condizionata a tratti si spegne”.
“Controllo dei consumi, signore. È l’Europa che ce lo chiede. Tra un’ora potrei accompagnarla in centro, che lascio l’aiutante di Ramon, Morena, che è sua cugina, a dare un’occhiata alla proprietà. Va bene?”.
Marco annuì e dopo un’ora, docciato e vestito per la cena si presentò puntuale al casotto-portineria. Di Pedro, però si erano perse le tracce. Era nella stanza 11 a guardare Mirella vestirsi riflessa nello specchio e quando uscì era troppo tardi. Marco si era infilato già nella taverna di Ramon, da dove mandò un messaggio a Mirella per farsi raggiungere. Con una scrollata di spalle, Pedro pensò che sarebbe stato scortese ricordare ai due italiani del bancomat quando erano seduti a cena: lo avrebbe fatto dopo.
La verità è che aveva voglia di vino ghiacciato da consumare con calma al banco, facendo quattro chiacchiere con Ramon e Morena, cugina di suo cugino, ma non sua.
Mirella, Marco e Ramon
La taverna di Ramon era lo standard dei baracci spagnoli, che detto tra noi e senza ironia sono tra i migliori in Europa nella categoria bettole. Sembra sempre che qualcuno abbia lasciato le pulizie del locale a metà e che li usi come il ripostiglio di casa, dove abbandonare le cose inutili. E in effetti sono un po’ casa di tutti, dove decantare il logorio della vita moderna con una birra, dei pinchos e delle chiacchiere a caso, anche con gli sconosciuti e gli stranieri di passaggio. Nel complesso, La Luna – Tabierna con cucina (come altro si poteva chiamare?) era anche più accogliente della media, grazie all’ampia vetrata che dava sulla strada perpendicolare a quella del motel, benché fosse insufficiente ad illuminare tutto l’ambiente, dominato dal caldo colore del legno. Tra gli oggetti che sembravano abbandonati c’era un sediolo per bambini e delle cassette vuote per la frutta, oltre che un juke-box e una chitarra appoggiata al muro. Anche se avevano conosciuto momenti migliori, sia la macchinetta mangiasoldi che lo strumento erano perfettamente funzionanti e da lì a poco lo avrebbero dimostrato, dando all’atmosfera una sferzata di allegria che sembrava latitare quando Marco entrò.
In quel momento c’erano solo tre avventori, ma sembravano conoscerlo tutti da come lo salutarono, compresi Ramon e Morena, che in realtà lo sapevano per davvero, essendogli stato preannunciato da Pedro. Del resto, chi poteva essere l’avventore ben vestito entrato dalla porta che dava sul motel?
“Gradisce…?” gli chiese Morena, appena si fu seduto nell’angolo più lontano dall’ingresso principale.
“Del vino”.
“Lo stesso di prima?”.
“Vada per lo stesso”.
“Tapas?”
“Aspetto la mia signora, ma nell’attesa un pezzo di tortilla non mi spiacerebbe”.
Gli arrivò tutto in meno di un minuto, ma fu il come ad emozionarlo: Morena lo chiamò caballero, cosa che adorava, e la tortilla era appoggiata sul bicchiere, una tapa appunto. Non vedeva servirle così dal suo primo, lontanissimo viaggio in Spagna, quando per seguire una svedese fumata finì in una taverna simile a Puerto de La Cruz. Per raggiungere in cielo la bionda del nord finì per ubriacarsi, ma riuscì a intrufolarsi nella stanza della svedese che il giorno dopo lo ringraziò per il fantastico cunnilingus ricevuto. “A true gentleman, thank you” disse la ragazza. “Un vero coglione” pensò lui che più di quello con tutto quell’alcol in corpo non aveva potuto fare. Ma fu allora che scoprì la sua vocazione e bravura per certi servizi alle signore, che in seguito avrebbe usato non solo come diversivo e arma seduttiva, ma anche per il proprio piacere: leccare, spesso, gli dava più soddisfazione che penetrare. Una caratteristiche che anche Mirella aveva apprezzato subito e che in qualche modo segnò il loro destino. Di quella notte alla Canarie, Marco aveva anche un altro ricordo, ma più confuso tanto da non esserne certo: la svedese aveva zampillato- forse urina, forse umori, che allora nessuno sapeva si chiamasse squirt – e lui aveva bevuto a bocca aperta, mentre se ne stava a quattro zampe sul pavimento. Ci aveva ripensato spesso, tanto diventare una sua fantasia masturbatoria ricorrente. Altro dettaglio che la futura moglie aveva apprezzato e che li segnò.
Mirella si fece attendere e la prima a notarla quando entrò, tallonata da Pedro, fu Morena. Passando lo straccio sul bancone, la barista abbozzò un sorriso sornione e divertito. Dotata di una quarta di seno coppa C e un fondoschiena pieno, di occhi nerissimi e profondi che sbucavano da un viso regolare circondato da morbidi riccioli, era di solito lei la regina indiscussa della taverna, alla quale zoticoni e camionisti di passaggio rendevano omaggio con mance e regalini. Per quella sera, se avesse interrogato lo specchio delle sue brame, avrebbe saputo però di non essere la più bella del reame…, ma non se ne doleva. Era donna pratica, che sapeva trarre il meglio dalle situazioni: avrebbe una serata più tranquilla e tanto le bastava. L’italiana, poi, era solo di passaggio.
Anche Mirella la notò e le rivolse un cenno del mento, prima di guardarsi in giro. Nel locale, che nel frattempo aveva acquisito altri tre avventori calò di botto il silenzio. L’attenzione di tutti i 18 occhi umani e dei due felini, appartenenti al gatto nero di Ramon, fu catalizzata dall’italiana. Aveva i capelli raccolti in un ciuffo alto, all’apparenza casuale, ma in realtà elaboratissimo, che la rendevano ancora più alta di quanto già non fosse di suo e per i sandali argento tacco 12. Tra testa e piedi, la stoffa che indossava era poca: una gonnellina nera di chiffon a più strati e una canottiera di raso bianco che le pendeva mollemente sotto al seno. Aveva gli occhi truccati di un verde più scuro delle sue iridi, che le esaltava lo sguardo, rendendoglielo acuto, penetrante e a tratti crudele. Marco quando la vedeva così pensava a Diana cacciatrice. Gli avventori, forse a causa delle loro lacune in mitologia classica o per pura schiettezza, pensarono semplicemente che fosse una portentosa femmina, forse un po’ troppo in tiro per quel posto, alla quale avrebbero offerto volentieri da bere.
Il più lesto fu Ramon: le andò incontro con un bicchiere di vino: “questo, come quello di suo marito, è offerto dalla casa come benvenuto”. Fece un sorriso tagliente che rivelò una dentatura forte e bianchissima e si inchinò come un torero sul suo corpo flessuoso, che non doveva mai aver visto un filo di grasso. Odorava di menta e la sua mano era liscia e calda, con unghie rotonde e bianchissime che spiccavano su dita forti e abbronzate.
Dettagli che Mirella notò, mentre prendeva il calice dall’oste, ricambiandone il sorriso.
“A papà”, propose Mirella alzando il bicchiere.
“Al professore”.
“Ti voleva bene”.
“Anche io gliene volevo”.
“Lo sapeva e apprezzava che non hai mai tentato di usare la sua potenza all’università per fare carriera”.
“Non me l’hai mai detto”.
“Volevo te lo dicesse lui, ma non ha avuto tempo. Non aveva mai tempo”.
Una lacrima a forma di bolla le si formò in ciascun occhio, per poi scivolarle lungo il naso e sulle gote come torrenti placidi e caldissimi. Marco le raccolse entrambe con la lingua. Il gesto non passò inosservato. Qualcuno lo trovò da innamorato, qualcuno erotico, altri addirittura sconcio. La purezza, si sa non ha credito in questo mondo. Era solo che Marco adorava la moglie e la sua famiglia e ne stava solo bevendo il dolore per farlo suo.
“Ordiniamo da mangiare? Muoio di fame”. Gli occhi le erano tornati brillanti e il sorriso largo, solo un po’ mesto, e stava per aggiungere “e sono arrapata anche di più, dopo ti distruggo”, ma fu interrotta appena un attimo prima dalla domanda di un avventore che se ne stava da solo con una birra in mano, nella parte meno illuminata del locale.
“Avrei scommesso che siete italiani” disse l’uomo alla loro destra con accento forse bresciano, forse bergamasco.
“Come siete finiti da Pedro? Non è posto per turisti questo, ma per camionari come me se va bene: si paga poco ed è di strada”.
“Guasto alla macchina”, tagliò corto Marco, che a differenza di Mirella aveva origini popolari e non aveva snobismi, se non quello verso gli italiani all’estero: detestava incontrarli. “Io vado di crocchette di baccalà e polpo alla gallega, dopo si vede”, continuò, rivolto alla moglie.
“Aggiungi dei peperoni e dividiamo tutto”, propose lei.
“Si mangia bene qui e anche il cibo è a buon mercato come il motel. Sono cugini, anche se non possono sopportarsi”, aggiunse l’uomo, che non curante della fredda accoglienza ricevuta, strisciando sulla panca si era posto sul lato del suo tavolo più vicino a quello della coppia”. Sono Roberto e faccio questa rotta una volta al mese. Se posso aiutare…”. Tese la mano. Era molle, ma enorme e nella stretta divorò le dita lunghe ed esili da ex-pianista di Mirella.
E in in effetti fu di aiuto, anche se per un dettaglio che non aveva immaginato. “Sapete, mi fermo qui ogni volta che passo: è pulito e non spendo più di venticinque euro a notte per dormire in un letto fresco”.
“Venticinque?”.
“Più economico di così è difficile… Ma perché a voi quanto ha preso quello scannapecore di Pedro?”, chiese unendosi non invitato al loro tavolo.
Marco si limitò a scrollare le spalle e a incassare l’informazione, anche perché Pedro, per un sesto senso da portiere d’albergo si era avvicinato al tavolo degli italiani.
“Cenate con calma, ma dopo andiamo in città per il bancomat. Avrà bene da pagare anche Ramon, no?”, disse.
“Certo, dopo andiamo”, lo rassicurò Marco.
Il locale, nel frattempo si era andato riempiendo di persone, tra le quali coppie e gruppi di amici del posto. C’era Manolo che a metà serata attaccò con la chitarra e c’era Sonia, bionda platino specializzata nel far compagnia ai camionisti, che si cimentò con discreta maestria in un’aria della Carmen e diede inizio alle danze, appena Ramon decise che era l’ora del juke-box. Chi prima chi dopo, sostenuti da importanti dosi di quel vino dissetante e acidulo, finirono per ballare un po’ tutti i clienti sotto lo sguardo attento dell’oste, cui non sfuggiva nulla. Di sicuro, non gli sfuggì il momento nel quale Marco andò in bagno e Roberto parlottava in un angolo con Sonia. Con occhiate neanche tanto furtive, non aveva staccato gli occhi da Mirella da quando era entrata e lei lo sapeva bene: le era bastato guardare verso il banco un paio di volte per averne conferma. E sapeva anche perché si stava avvicinando.
Lo aspettò accavallando le gambe e mettendo la mano sul mento, rivolta verso la sala. Se qualcuno le avesse guardato il seno, non avrebbe potuto non notare che i suoi capezzoli erano più duri e sporgenti di un attimo prima. Ma, almeno in quel momento, nessuno stava facendo caso a lei.
“Un ballo?”.
“Cosa ti fa credere che accetterei, hombre?”.
“Perché ballo bene?”.
“Tanti lo sanno fare e tu hai da mandare avanti la baracca”.
“Morena sa il fatto suo”.
“Non ho dubbi, ma non ci tengo a far casini”.
“Dovrei averne paura io: sei sposata”.
“Ha importanza per te che lo sia?” e indicò Morena con il mento.
“Ah, lei… Nessun casino, è mia cugina”.
“Sai come si dice in Italia? Tradotto suona che non c’è cosa più divina della figa della cugina. Dovresti provare”.
“Chi dice che non l’ho fatto?”.
“Appunto”.
“Ma è un giretto a gratis, senza implicazioni”.
“Esistono cose gratis a questo mondo e gente che vi ci perde ancora tempo? Non credo tu”.
L’uomo si prese tempo per replicare, fissandola con le palpebre semichiuse e un sorrisetto sarcastico, che in qualche modo tradiva il lavorio in atto nel suo cervello. Non voleva mollare, ma non aveva la mossa giusta a disposizione.
L’arrivo di Marco mise fine alla tenzone con la richiesta di un ultimo giro di vino.
Roberto era sparito con Sonia e Pedro russava con il capo sul tavolo.
“So dell’affare del contante e del bancomat. Vi accompagno io domani, già sono d’accordo così con Pedro. Intanto, segno”, disse Ramon portando gli ultimi due calici.
Li bevvero velocemente e prima di andare Marco se ne procurò una mezza caraffa aggiuntiva, caso mai avessero avuto sete durante la notte. Avevano fretta di restare soli, ma anche di festeggiare.
Appena entrati in camera, Mirella afferrò Marco per il pene, duro ma ancora rinfoderato nei pantaloni, e lo trascinò verso il letto, con tanta foga e disordine da farlo quasi inciampare nel treppiedi dello specchio che spostandosi, finì per riflettere la vetrata.
“Ho bisogno di maschio. Fammi vedere quanto lo sei: ho bevuto più testosterone che vino questa sera”.
La manovra, ma soprattutto la frase della moglie, ebbero un effetto immediato su di lui: un’erezione ancora più potente, che finì subito nella bocca vorace, profonda e calda di lei. Marco sapeva al testosterone di chi si riferiva Mirella e sapeva che non era il suo. La gelosia ebbe il sopravvento il tanto che bastava per cedere il passo all’eccitazione prima e alla furia erotica dopo. Non lo facevano da almeno 10 giorni e, benché non avessero immaginato la loro prima notte di nozze così e in un posto del genere, fu esattamente quello il loro amplesso di debutto nella vita matrimoniale.
I preliminari, contrariamente al loro solito, non furono lunghi e meticolosi, anzi furono ridotti a quel minimo necessario per riappropriarsi l’una dell’altro. Dalla breve fellatio di lei, eseguita in punta di lingua e di labbra, dalle quali il rossetto era rimasto intatto nonostante i molti calici, il fronte si era capovolto con un cunnilingus profondo, al quale Marco si dedicò con la sua solita passione e perizia. Ma lei lo interruppe, perentoria, con la voce resa bassa e roca per la frenesia.
“Spaccami marito. Tocca a te farlo questa sera”.
E a chi altri?
L’ambiguità di quella frase aumentò il vigore di lui. La penetrò nella più classica delle posizioni con lei che si teneva le cosce aperte premendo le mani sulle ginocchia. Aveva gambe magre e flessibili di chi è abituato allo yoga e non aveva necessità di forzarle. Quella posizione era di pura lussuria: le piaceva essere penetrata a quel modo e le piaceva ancor di più sottolinearlo con la postura del suo corpo.
“Entra dentro più che puoi, entra fino in fondo e fammi urlare”.
L’orgasmo di entrambi arrivò forse in un minuto, forse meno, ma fu uno dei più appaganti avessero mai avuti.
Marco si distese accanto alla moglie prendendole la mano, che baciò con gratitudine. Poi si rizzò a sedere a gambe incrociate sul letto, quando lei fece la stessa cosa.
Faticava a parlare. Erano stanchi, parecchio alticci, ma lui aveva urgenza di porle la domanda che gli girava nella testa da almeno un paio d’ore.
“Ti piace quel Ramon?”.
“Sì”.
“E si è visto. Anche lui l’ha visto”.
“Ti dispiace?.
“Te lo faresti?”.
Mirella alzò gli occhi al cielo, passandosi la lingua sottile e rossa sulle labbra. Voleva apparire pensierosa, risultò solo sognante.
“Avessimo tempo, me lo farei, sì”.
“Cazzo Mirella, ma siamo in viaggio di nozze, anche se la apparenze direbbero altro”.
“E certo, lo so. Ma noi chi? Chi siamo noi?”.
“Io e te”.
“Appunto. E cosa siamo?”.
“Ma che cazzo ne so. Sposi? Che ne dici, va bene come risposta?”.
“Sì e quindi cosa siamo?”.
“Ma la finisci con questi indovinelli del cazzo, Mirella?”“Fammi contenta, un ultimo sforzo, ce la puoi fare”.
“Una coppia?”.
“Eccolo, il mio maritino. Ultima domanda e ti mollo, tranquillo: che tipo di coppia siamo fin dall’inizio io e te?”.
C’era bisogno davvero di rispondere? Marco si limitò a guardarla nel semibuio nel quale era precipitata la stanza, dopo che il condizionatore si era rimesso in moto. Prima abbassò lo sguardo, facendo roteare il braccialetto di cuoio intorno al polso per darsi un contegno, poi lo rialzò piantandolo, interrogativo e rassegnato, negli occhi scintillanti di lei.
Mirella gli affondò la mano al centro dell’inguine e si impossessò dell’erezione persistente di lui, attirandolo ancora verso di sé. Gli baciò la bocca con la punta della lingua che saettando rapida e precisa si fece largo in quella di Marco, che si lasciò sfuggire un lieve gemito da agnellino.
“Siamo questa coppia qui: io parlo di farmi un altro, qui, in questa specie di luna di miele, e tu ce l’hai duro come una pietra. Siamo questo e a te piace, come piace a me. Quindi a quello me lo farei. E tu guarderesti… Oppure parteciperesti, non so, ma sono sicura godresti come il porco che sei”.
Tornò a baciarlo mentre la mano continuava a tormentargli il membro, ora tirandolo, ora torcendolo e scuotendolo. Lui provò a respingerla, ma era troppo tardi. Il gemito di Marco fu tutt’uno con la sua seconda eiaculazione in pochi minuti, che si sparse torrida sull’interno coscia e sulla mano di lei. Era così densa che il porpora dello smalto delle unghie ne fu inghiottito e annullato.
Marco, sapeva che se ne avesse avuto la possibilità la moglie sarebbe andata fino in fondo, come sempre era successo quando aveva deciso, ma lei lo rassicurò: “Hai ragione, è il nostro viaggio di nozze e qui ci siamo solo per caso. Ci aspettano i localini jazz di rue de Lombards e il Canal Saint Martin. Ci aspetta la vita, qui un po’ si soffoca”.
Mirella, Marco e Semwe
Marco ne fu rassicurato per davvero?
Mirella amava quelle situazioni e le occasioni casuali e aveva indubbiamente una predilezione per baristi, camerieri e personale di servizio in genere. Forse perché erano maschi basici, forti, diretti, senza pensieri, che sapevano cosa fare di una femmina, senza troppe complicazioni né prima, né soprattutto dopo. Non era forse un cuoco quello di Giverny, che battezzò la loro prima avventura del genere? Erano a pranzo sulla terrace di un affollatissimo bistrot di campagna immersi tra aiuole che avrebbero fatto felice Monet. Si stavano dividendo una bizzarra frittata, ripiena di petto d’oca e funghi, classico riciclaggio da leftover raffinati, quando loro relazione ebbe la sua seconda e definitiva svolta. Della prima era stato protagonista Attilio l’ex di Mirella, con la quale lei aveva continuato ad uscire prima all’insaputa, poi con la piena ed eccitata consapevolezza di Marco. Di questa seconda svolta fu protagonista l’autore della frittatona, cento chili per 190 cm di maschio, con la pelle del colore dello zucchero bruciato, i capelli ricci cortissimi e lo sguardo da mascalzone, che si affacciava ogni tanto dalla cucina, per fumare o prendere aria. Era la fine del servizio e sembrava avesse fretta di andarsene.
“Non girarti subito, ma dietro di te c’è un esemplare notevole”.
Marco era trasecolato e colto di sorpresa non aveva capito subito: non se lo aspettava, non lì almeno e in quel momento. Era abituato a questi commenti di Mirella e da tempo erano in cerca di quello giusto per la loro prima “cosa a tre”, ovvero un threesome MMF, “con lei al centro dell’attenzione”, come dicevano un tempo le coppie scambiste. Avevano provato a rispondere ad annunci e metterne loro, ma il materiale in giro era scarso: millantatori, morti di figa, potenziali stupratori, mister “ce l’ho solo io” dalle pretese assurde e coniugali inconcludenti. Avevano deciso di affidarsi al caso che spesso proponeva “esemplari interessanti” come li chiamava Mirella. Per qualche motivo, però, erano rimaste solo fantasie, volti e situazioni che si erano portati nel loro letto per eccitarsi, mentre facevano l’amore, ma nulla di concreto.
Marco fece trascorrere un paio di minuti e si girò approfittando per chiamare la cameriera alla quale chiese un secondi quartino di pinot nero e vide qualcosa di diverso rispetto a Mirella: un uomo enorme, dall’aspetto brutale, un po’ inquietante, dalla mascella fin troppo perentoria e spalle troppo grandi per poterne contenere l’eventuale violenza.
“Sei sicura?”.
“È un figo della madonna”.
“Ci scoperesti?”.
“Gli farei una sega nei bagni del ristorante, prima di farmi sbattere qui nei boschi, non senza avergli fatto un pompino, in ginocchio e a due mani, come merita un maschio del genere”.
“Wow”, esclamò Marco restando a bocca aperta. Aveva i pensieri attaccati, ma in quell’espressione che non gli era abituale c’erano il suo stupore, la sua paura e la sua umiliazione. E, ovviamente, la sua immediata, fortissima, erezione. Mirella non aveva mai parlato così. Sembrava determinata e Marco sentì che forse quella volta non si sarebbe trattato solo di una fantasia.
Mirella iniziò a puntare il cuoco che non ci mise molto ad accorgersi che quella bionda del tavolo sotto al glicine lo stava fissando. Ricambiò un paio di sguardi, ma non insistette più di tanto. Sapeva che lei sapeva che anche lui l’aveva vista. Ora si trattava di capire chi avrebbe fatto la prima mossa e soprattutto se il cuoco si fosse fatto scoraggiare dalla presenza di Marco. L’uomo rientrò e riuscì un paio di volte ancora dalla cucina e ogni volta volgeva velocemente lo sguardo verso Mirella, ma senza che nulla accadesse. Fu lei a lanciare l’offensiva.
“Ora vado in bagno e punto verso la cucina, come se mi fossi sbagliata. Gli chiederò dov’è il bagno”.
“Cazzo, Mirella, ma davvero? Cosa vuoi che succeda?”.
“Qualcosa accadrà”.
Si alzò e si diresse verso il cuoco, sculettando più di quanto avesse voluto a causa dei ciottoli del sentiero che uniti alle zeppe di corda le rendevano l’equilibrio particolarmente difficoltoso. Era a tre metri dal cuoco, quando questi volse la testa verso l’interno come se fosse stato richiamato e poi verso di lei con un’espressione che sembrava dire: “pardon madame, non ci posso fare niente”.
Mirella fece solo in tempo a chiedere “La toilette, si vous plais?” che il cuoco sparì dalla sua vista. Almeno era riuscita a dirgli dove trovarla. Le operazioni bagno furono lentissime per dare il tempo al cuoco di raggiungerla o di liberarsi dal suo contrattempo e rincontrarlo magari sulla via del ritorno, ma nessuno la raggiunse. Quando tornò al tavolo notò che la porta della cucina era chiusa.
“Peccato Marco, ci siamo andati vicini. Sono arrapatissima”.
“Che matta sei, ero sicuro che non poteva funzionare”.
“Andiamo a scopare Marco, ho voglia. Facciamolo in macchina in queste campagne”.
“Ma è giorno”.
“Troveremo un posto, so che se ti impegni lo sai trovare”.
Era vero. Per Marco era un punto d’onore soddisfarla quando lei aveva voglia.
Pagarono in fretta alla padrona, che lasciò cadere una frase nella quale la loro coda di paglia avvertì dell’ambiguità o addirittura una provocazione.
“Vi è piaciuta la cucina del cuoco? È bravo a cucinare il nostro cuoco. È quello che deve fare, del resto”.
Se ce l’aveva con loro aveva trovato un modo raffinato per farlo.
Scesero in macchina verso la Senna in un viottolo che Marco aveva notato salendo, che conduceva verso un boschetto in riva al fiume. Nel pomeriggio assolato, reso ancora più acceso dal giallo dei campi, non c’era essere umano vivo. Posteggiò sotto il primo albero, facendo attenzione a non spingere troppo avanti le ruote dell’auto: aveva paura di precipitare dal basso argine o di restare impantanato.
“Speriamo che non ci sparino. È un campo privato”, disse Marco mettendo il freno a mano.
“Scopami e fallo subito. Fallo forte” fu la sola replica di Mirella, che distese il suo sedile e si allargò gli slip viola, aperti esattamente sulla vagina, che avevano acquistato a Pigalle la sera prima insieme ad altri completini sexy.
Marco si guardò in giro per un pò mentre si accarezzavano vicendevolmente il sesso. Quando si decise a penetrarla erano già quasi al culmine. Fu l’amplesso più intenso e più veloce che avessero mai avuto fino ad allora, nonostante, o forse grazie, al vino e alla situazione decisamente rischiosa. Ma soprattutto grazie al cuoco che aveva portato i loro sensi all’esasperazione.
Restarono abbracciati e ansimanti per lunghissimi secondi, fiaccati dal loro stesso piacere.
A destarli dal torpore fu un ombra che si allungò nell’abitacolo dell’auto. Marco ebbe un sussulto, ma poi scoppiò a ridere con sollievo.
“Mi sa che di vacche qui nei dintorni ce ne sono almeno due e una è appena venuta a trovare l’altra che sta in macchina”.
“E di corna lunghe almeno quattro”, replicò lei volgendo lo sguardo verso la mucca, che masticando, li squadrava con occhi enormi ed acquosi, come se fosse sorpresa e un po’ infastidita dal comportamento di quei due umani sudati.
Risero ancora insieme e si baciarono a lungo guardandosi di nuovo in giro, prima di rimettersi la macchina sulla strada principale.
Parigi prometteva di essere a soli 70 chilometri e il cielo era di un azzurro radioso nel quale due nuvole bianche galleggiavano.
“Va tutto bene”, sembravano dire.
“Va tutto bene”, pensò Marco, mentre accarezzava il ginocchio di Mirella che si era addormentata di colpo. Sembrava rilassata e del tutto appagata dalla vita. Lui, invece, aveva il pene ancora turgido, come se non avessero fatto l’amore appena 5 minuti prima. Era eccitato ma in fondo sollevato: ancora un volta tutto era rimasto una fantasia, buona per la magnifica scopata in riva al fiume e per quella ancora migliore, che inevitabilmente si fecero più tardi in albergo.
Ma non le cose non andarono esattamente così: il giorno dopo tornarono a Giverny e questa volta niente visite a Monet. Andarono direttamente al bistrot quasi a fine turno. Si accontentarono di un croque monsieur da dividere in due e aspettarono la chiusura. Il cuoco lo videro una sola volta e quando chiesero il conto alla cameriera questa oltre alla cifra da pagare segnò un’ora e un indirizzo. Scoprirono che si trattava di un cottage, a qualche chilometro di distanza, che raggiunsero puntuali 45 minuti dopo.
“Sono Semwe”, “scusa per ieri” e “ci vediamo”, furono le uniche parole del cuoco che li attendeva all’interno. Ne uscirono solo due ore dopo, durante le quali Seme prese Mirella in tutti i modi, facendola venire decine di volte. Sembravano non volersi fermare, con Marco più spettatore che partecipe.
Il difficile era stato iniziare. Il cuoco se ne stava immobile, mentre Mirella si guardava in giro per la stanza. Sembravano avere in comune solo la bevanda, dell’armagnac che Seme aveva versato a tutti e tre generosamente.
“Forse lo intimidisci, esci un attimo” fu l’intuizione di Mirella.
Quando dopo un paio di minuti di assoluto silenzio Marco rientrò vide la fidanzata in ginocchio davanti a quell’uomo al quale stava succhiando, impugnandolo con entrambe le mani, il membro nerissimo e possente. A quella vista Marco ebbe l’impressione che il fiato gli si fosse bloccato: le fantasie diventano realtà sempre a modo loro, che non è mai il modo immaginato. Vedere Mirella, sempre così determinata con lui, così sottomessa con un altro fu uno choc che gli costò l’erezione per il resto dell’incontro. A tradirlo non erano solo la gelosia e l’umiliazione, che si fece ancora più intensa quando lei dal membro passò ad occuparsi dello scroto che letteralmente succhiava come fosse stata un’enorme prugna succosa, ma la sorpresa per l’esplosione di tanti sentimenti contrastanti. Voleva che il gioco finisse lì? Non osò neanche provarci. Rischiava un’umiliazione peggiore: Mirella lo ignorava, totalmente presa da quell’uomo enorme e vigoroso e lo ignorò anche quando provò a titillarle i capezzoli, tanto per far qualcosa anche lui. Finì per starsene su una sedia a guardare e a toccarsi inutilmente, mentre la sua fidanzata emetteva gemiti e gridolini, intervallati da frasi sussurrate che solo il cuoco poteva sentire. L’eccitazione tornò a Marco solo nella loro stanza d’albergo, la sera.
“Fammi entrare dove è passato quel randello”.
“Sono sfatta Marco, mi brucia”.
“Almeno fattela leccare”.
“Falla riposare, amore mio, non hai idea”.
“Sto scoppiando dall’eccitazione, non sono venuto oggi pomeriggio”.
“Ti capisco, ma non ce la faccio. Segati amore, se vuoi, ci sta, lo capisco. O aspetta domani, ti prego”.
E cadde stecchita dal sonno.
Si masturbò accanto a lei, guardandole il sedere e ricordandosi le scene del pomeriggio, la faccia stravolta di lei e la curva della sua schiena quando il cuoco l’aveva messa a quattro zampe.
Venne dopo meno di un minuto, in maniera torrenziale, liberandosi della tensione erotica e della gelosia.
Era tutto finito.
E invece nel cottage ci tornarono anche il pomeriggio successivo e ci sarebbero tornati ancora, se non fosse che la vacanze era ormai terminata.
Il cuoco Semwe fu il loro primo “terzo” reale e dopo di lui ce ne sarebbero stati molti altri.
Mirella e Pedro
La mattina dopo si svegliarono molto tardi, ma non abbandonarono subito il letto. Del resto, cos’avevano da fare? Solo aspettare la chiamata della compagnia di rent-a-car per sapere quando avrebbero potuto rimettersi in viaggio. Si coccolarono e fecero l’amore per un’oretta almeno, sudando più del normale a causa dell’aria condizionata che, se possibile, faceva i capricci più del solito. Il sole era alto e caldissimo e tutto taceva intorno a loro eccetto l’Oceano, che ruggiva dal pomeriggio precedente. Era domenica e che i camion che passavano erano rari. Purtroppo anche il telefono taceva: dalla compagnia, nessuna notizia. E nessuna risposta: provarono a chiamare più volte standosene ancora a letto, ma gli squilli che lanciavano erano SOS destinati a precipitare nel vuoto.
Fu Marco a rompere gli indugi. Fece una doccia lunghissima e si incamminò verso il bar in cerco o di Pedro o di Ramon. Non era il bancomat a creargli urgenza: voleva farsi accompagnare alla stazione, dove aveva sede la filiale della loro compagnia o magari anche all’aeroporto di Siviglia.
Pedro era al suo posto, nel gabbiotto, più sudato del solito.
“No amico, non posso accompagnarti. Sono impegnato qui” e si guardò intorno come se stesse parlando dello stabilimento della SEAT. “Che vuoi fare, mestiere di merda, neanche la domenica puoi prenderti. Ci pensa Ramon”.
Era passato al tu, senza preavviso. Marco sentì improvvisa l’urgenza di andarsene da quel motel.
“Se avete fame, Morena può prepararvi qualcosa. Per il caffè, posso farvelo io. Ma sono le 12.30, ne avete ancora voglia?”.
Marco non gli rispose e si avviò verso il bar, dove Ramon sembrava aspettarlo. Non ci volle molto ad accordarsi “Vada per il passaggio fino alla stazione. Appuntamento tra dieci minuti davanti all’ingresso principale. L’auto ce l’ho lì”.
Marco ebbe il tempo di prendere il portafogli in camera, di salutare Mirella e di fumare una sigaretta, quando Ramon si fece vivo. Visto alla luce del sole, potè capire cosa di lui aveva colpito Mirella: sembrava un gitano, nervoso e con tratti virili, quasi da manga. Maschio era maschio e Marco sapeva che la moglie amava gli uomini al limite, dotati di mascolinità selvatica. Quando ci pensava, si chiedeva se non fosse anche lui così o non fosse esattamente il loro opposto.
Non erano andati via neanche da due minuti che Pedro si era dato già da fare.
Si era procurato nel bar un vassoio e lo aveva riempito con una serie di piattini invitanti, ricolmi di jamon tagliato a pezzetti, queso de cabron, pan y tomate, spicchi di uova soda con la maionese e una tazza gigante di caffè, oltre a una caraffa d’acqua ghiacciata.
Fu costretto a bussare alla porta con il piede, più volte. Dalla stanza 12 si presero tempo per aprirgli. Mirella era sotto lo doccia e andò alla porta con i capelli raccolti in un asciugamano piccolo e mentee ne teneva uno grande avviluppato intorno alle vita, a coprirle a malapena i seni e la vagina. Pedro dovette raccogliere tutto il suo sangue freddo per parlarle normalmente. Teneva lo sguardo basso sui piedi nudi della donna.
“Ho pensato che poteva aver fame. Così ho portato la colazione. Posso?”.
Mirella era sul punto di ridere vedendo la faccia congestionata dell’uomo, ma fu brava a trasformarlo in un sorriso di gratitudine per tutto quel ben di dio.
“Porto dentro?”.
Lei si succhiò il labbro inferiore prima di rispondere, come spesso le accadeva quando pensava su qualcosa.
Pedro fremeva.
“Non fare tante storie e fammi entrare, che non te ne faccio pentire”. La frase uscì dalla sua bocca come un farfuglio di suoni scomposti e sommessi, che non avevano alcun senso in nessuna lingua, ma ciò nonostante il portiere serrò i denti per impedirsi di emettere anche un grugnito in più. Temeva che se avesse atteso ancora un po’, non si sarebbe più limitato a pensare rumorosamente.
“No, metti tutto sul tavolino vicino alle sdraio della piscina. Due minuti e ci sono”. Mirella aveva mantenuto il tu del giorno prima, senza pensarci.
Uscì dalla stanza appena un po’ più vestita di quando si stava asciugando dopo la doccia: bikini minimo di colore verde chiaro, che faceva pendant agli occhi e contrasto con lo smalto dei piedi, fasciati in zoccoletti alti, color smeraldo. Dandosi un’ultima rimirata nello specchio lo aveva orientato meglio verso la luce.
Mentre lentamente lei si avvicinava qlla piscina, Pedro la squadrò orami senza pudore, soffermandosi ovunque e in particolare sulle sue estremità. Non riusciva a nascondersi e non c’era più nulla da nascondere. Quella femmina italiana lo aveva stregato. Si sentiva letteralmente piegato dal suo fascino e dalla sua femminilità prepotente.
“Si accomodi qui” le disse appena lei fu vicino al tavolino, porgendole la sedia con modi da maggiordomo consumato.
“Caffè? Ne ho fatto dell’altro. Quello ormai si era raffreddato. Ma ho portato anche nel ghiaccio, nel caso fosse troppo caldo”.
Mirella consumò la colazione con lentezza. Aveva le gambe accavallate e lasciava dondolare lo zoccolo destro dalla punta del piede. Non era una sua posa abituale, ma fu il suo modo di ringraziare Pedro che non riusciva ad allontanarsi dal tavolino. Stava lì in piedi come un cameriere e non le staccava gli occhi di dosso.
“Posso fare qualcosa ancora per lei?”.
“Niente di quello che desidererei. Quello che potevi fare lo hai fatto” disse sorniona.
Pedro colse l’antifona? Si limitò a deglutire e a dire. “Allora vado”.
“Ma forse sì, una cosa puoi farla: chiama quelli dell’autonoleggio dal tuo telefono fisso e se rispondono passameli. Ho visto che hai un telefono senza fili in guardiola”.
Tanto Marco e Mirella avevano provato invano, quanto Pedro fu fortunato. Gli risposero al primo colpo. Chiese tempo e trotterellò verso Mirella, alla quale passò il telefono. La conversazione fu breve e frustrante per la giovane donna. La sintesi fu: “ci spiace, non ci hanno restituito l’auto che aspettavamo. Forse domani ne avremo una. Intanto veniamo a ritirare quella che avete per ripararla il prima possibile”.
Mirella stava per sbattere il telefono sull’erba sintetica che contornava la piscina, ma si contenne e lo lanciò a Pedro che lo raccolse al volo.
“Mi spiace, signora, che non abbia risolto. Ma mi fa anche piacere che restiate” disse il portiere.
“E ti credo, una notte in più che vendi”, disse stizzita. Non ce l’avevano lui, ma con il mondo in quel momento.
“Detto da chiunque altro mi offenderebbe, ma da lei lo accetto”, disse Pedro abbassando di un tono la profondità della voce.
“ Scusami, non volevo”.
“Lei è la padrona, non si preoccupi”.
Mirella lo fissò dritto negli occhi, ferma, senza tradire nessuna emozione e non le ci volle molto per fargli abbassare lo sguardo.
“Per favore, vai ora. Grazie per la colazione”.
“Dovere, signora Mirella” replicò Pedro con un tono ancora più basso e quasi tremante, sottolineando il signora.
“Grazie, ancora”.
“Saprei come ringraziarla io, invece… Mirella…baciandole i piedi”.
Lo aveva detto per davvero? Sì lo aveva fatto: il portiere questa volta non era riuscito a controllarsi.
La risata di Mirella esplose nel silenzio del pomeriggio. Piegò la testa all’indietro ad occhi chiusi, che riaprì un secondo dopo per fissare l’uomo.
“Non sei l’unico che ne sarebbe felice”.
“Ma io sono speciale”.
“Me ne ricorderò”.
Si pentì per un attimo di avergli risposto in maniera così ambigua. Che cuocesse nel suo brodo di vecchio porco. Alla fine era innocuo. Se ce l’aveva con qualcuno quello era Marco: era ormai più di un’ora che era andato via.
Decise di aspettarlo in camera, accoccolata nella penombra, guardando verso le dune.
“Ma che hai fatto, l’hai comprata la banca?”, lo aggredì appena Marco fu entrato un abbondante quarto d’ora dopo.
“Te ne meriteresti due di banche amore mio, ma tuo marito non è riuscito neanche a prelevare”.
“…”.
“Abbiamo provato cinque o sei bancomat e al netto di quelli che non funzionavano, tutti hanno detto la stessa cosa: carta smagnetizzata. Mi toccherà sopportare la guida assurda di quel Ramon più tardi per provare con la tua”.
“Nessuna fretta: l’autonoleggio dice che fino a domani ancora niente auto”.
“Ci hai parlato?”
“Sai che sono una strega… Ma che domande faicome farei a saperlo se non ci avessi parlato?”.
“Eh, brava allora. Alla stazione erano chiusi e l’unico contatto che davano è il numero che già abbiamo”, disse Marco che a stento riusciva a dissimulare l’irritazione per l’aggressività della moglie.
Che lo capì e si riaddolcì.
“Vieni qui, amore”. Lui si abbassò a bacarla e lei ricambiò con il suo gesto abituale di arruffargli i folti capelli castani. “Hai mangiato qualcosa? La colazione che mi ha servito Pedro era buonissima: prosciutto, uova, pane… ”.
“Ho lo stomaco sconvolto ancora da sta notte. Non so di cosa ho voglia”.
“Io sì, Marco”.
“Di cosa?”.
“Che mi lecchi i piedi”.
Pedro era nella guardiola e forse per lui fu un bene. Vedere la scena che seguì, con Marco sul pavimento dedito alle estremità della moglie che nel frattempo si masturbava, sarebbe stato troppo anche per lui.
Passarono il resto del pomeriggio prima a leggere in camera, poi facendo una corsetta sulla spiaggia e infine con un bagno in piscina durante il quale il portiere non fece che gironzolargli intorno, limitandosi a qualche domanda sporadica e a offrire birre che gli furono rifiutate. Nel motel c’era effettivamente un bel movimento di coppie e Pedro andava e veniva dal gabbiotto, soddisfatto dall’impennata del giro d’affari. Ogni tanto però spariva, tanto che un paio di coppie dovettero suonare il clacson per farsi ricevere.
Marco e Mirella attribuirono alla taverna quelle assenze o a urgenze fisiologiche, ma poi lo scorsero uscire da una delle stanze.
“Certo che è un tipo strano questo”.
“Non sai quanto”, chiosò Mirella guardandosi le dita dei piedi.
Mirella e Rodri
La faccenda del bancomat la risolsero così: Ramon era impegnato quanto Pedro e decisero che Marco prendesse l’auto del portiere.
“Basta che ci fai il pieno, amigo, è un po’ a secco”. L’operazione prelievo fu veloce. Bastava avere una carta funzionante, del resto. Mentre Marco andava, prelevava, faceva rifornimento e tornava, Mirella si preparò con calma in camera.
Pedro si fece vivo solo quando uscirono dalla stanza. La sua idea era riscuotere i suoi soldi, ma quando ebbe Mirella a un metro di distanza iniziò a farfugliare complimenti – “è bellissima questa sera signora Mirella, cioè più del solito” – e a dare consigli per la cena -“c’è il caldoso di pesce, ottimo. Lasciatemene un po’”. Del credito che era andato a riscuotere sembrava essersi dimenticato completamente.
“L’hai stordito a questo, Mire’”, notò Marco.
“Non sai quanto”, confermò Mirella, dandosi un’ultima sistemata ai capelli.
Marco era curioso di saperlo, ma lei lo bloccò: “Ho fame. Stasera andiamoci piano con il vino”.
Alle 7, l’ora delle tapas, erano già al tavolo della sera prima, sul quale trovarono un vaso con fiori di campo.
Mirella li annusò, rivolta verso il bancone. Ramon le sorrise accennando a un inchino da torero.
Contro ogni loro aspettativa, c’era anche Roberto.
“Parto domani mattina presto, trasporto merce normale e nel week-end ho lo stop” spiegò il camionista che quella sera si limitò a bere solo un paio di birre e a flirtare, in assenza di Sonia, con Morena. “Ma ci vado piano, eh, con lei: sono sposato. Mi diverto solo un po’”
“Cioè se non le paghi non è tradimento a tua moglie?” Gli chiese Mirella.
Il camionista sembrò sorpreso da quella domanda che dovette suonargli stupidissima. “Le puttane, con rispetto parlando, non contano” tagliò corto, dirigendosi verso il bancone per evitare ogni replica. Non avrebbe più rivolto la parola alla coppia fino alla fine della serata, che per lui avvenne molto presto. Per fortuna: il suo muso lungo incupiva l’atmosfera alcolica e musicale del locale, che nel frattempo si era affollato velocemente.
Trascinati dall’entusiasmo semplice degli altri avventori , Mirella e Marco rinunciarono ben presto ai loro propositi di sobrietà. Per la prima volta, forse, si stavano davvero rilassando, dopo giorni di tensione, e iniziavano a divertirsi sul serio.
Cosa mancava? C’era la musica, c’erano giovani in forma, belle ragazze, il mare a due passi e l’estate piena di sole. C’era quel vino andaluso asciutto e acre e il riso con il pesce. C’era la loro voglia di lasciarsi alle spalle ogni pensiero buio. C’erano Ramon che non staccava gli occhi di dosso a Mirella e Morena che ogni volta che li serviva si fletteva più del dovuto per mostrare le tette a Marco. E soprattutto c’era Rodri. Mirella lo aveva notato anche la sera prima fare un po’ il bulletto e un po’ il simpatico in mezzo agli amici, ma questa sera sembrava diverso: indossava una camicia bianca sul fisico asciutto e abbronzato e si era tirato i capelli nerissimi all’indietro. Aveva 22, 23 anni al massimo, ma voleva dimostrarne almeno cinque in più.
Mirella e Marco capirono in fretta il perché: aspettava una ragazza.
Nell’attesa, non ci mise molto ad attaccare bottone con gli sposi e dopo appena dieci minuti di chiacchiere era seduto con loro insieme con un suo compagno e la fidanzata di questi. Tra tapas e bevute, offerti a turno, passavano i quarti d’ora e il gruppo al tavolo degli italiani si ingrossava, ma la ragazza di Rodri non si faceva viva. Più il tempo passava più il giovane dissimulava la sua apprensione con battute e brindisi. A metà serata parlava solo con la coppia, più tardi ancora solo con Mirella. Non aveva secondi fini, voleva forse solo nascondersi dal giudizio degli amici.
Ramon osservava tutto da lontano con sguardo inespressivo e quasi assente. Mirella a sua volta lo ignorava anche se ne sentiva lo sguardo addosso.
“È un bel gioco, ma se lo sai fare, hombre”, si sorprese Mirella a pensare e come talvolta accade il pensiero sembrò arrivare a lui, che appena ne ebbe l’occasione fece la sua mossa. La seguì al bagno due minuti dopo che lei si fu mossa e l’attese fuori rimestando tra casse di birra, come se avesse da fare proprio lì.
Mirella non si fece abbindolare, ma quando lui parlò, in un velocissimo sibilo a bassa voce, restò piacevolmente sorpresa e non lo nascose: “Sei preziosa” disse l’uomo. “Come un fiore che sboccia solitario una volta l’anno. E sei dura, come una pietra rara. Volevo che lo sapessi, così a gratis, senza scopo. Volevo liberamene, altrimenti scoppiavo”. Gli palpitava il petto nel dirlo e sembrava sudato.
Mirella restò in silenzio, indugiando un attimo davanti a lui. Sentiva i suoi muscoli più intimi tesi e umidi, i suoi capezzoli più reattivi. Si dovette ricredere: qualunque gioco Pedro stesse giocando, indubbiamente lo stava conducendo bene.
“A gratis? Grazie dei fiori, ma neanche quelli sono gratis”, si limitò a dirgli prima di sorpassarlo.
Tornata al tavolo, baciò il marito, che non si era accorto di nulla, ripetutamente e affondandogli la lingua nel profondo della bocca.
“Facciamo un ultimo giro e andiamo, ho voglia di star sola con te”.
Nel frattempo era arrivata la ragazza che Rodri attendeva: era una mora dalle gambe lunghissime e tornite e aveva uno sguardo selvatico, quasi animale. Si era unita al tavolo, ma sembrava annoiarsi.
Non ci furono presentazioni, se non quella indiretta che Rodri fece: “ho raccontato a Lena quanto figa sei”, disse il ragazzo a Mirella la ignorò la giovane che a sua volta ignorò lei e il ragazzo in maniera così sfacciata da andarsene a ballare senza rivolgere lo sguardo a nessuno. Anche Marco ballava. La maggior parte del locale, del resto lo faceva, compresa Morena che passando con il vassoio accennava passi, la maggior parte dei quali dedicati all’italiano.
Di quel che accadde da lì a un minuto non si accorse nessuno. Al tavolo degli italiani ci fu un ennesimo brindisi collettivo al quale Mirella si sottrasse chiedendo a Rodri di seguirla un attimo fuori. Nello stretto andito senza luce tra motel e bar lo spinse contro il muro e lo baciò a fondo in bocca. Il ragazzo rispose con passione, stringendole i capezzoli tra pollice e indice con forza e delicatezza insieme. Sembrava saperci fare, ma non c’era tempo da perdere. Con una mossa rapida e inaspettata, Mirella gli sbottonò i pantaloni e gli abbassò la cerniera per estrargli il membro che nel semplice, veloce, passaggio dagli slip all’aria aperta diventò ancora più duro. Le bastò scrollarlo per qualche secondo, tenendolo saldamente in mano alla base del glande, per farselo schizzare nel palmo. Qualche goccia le arrivò anche sulle gambe e sentirne il calore le regalò quasi un orgasmo. La musica taceva ora e nel buio del corridoio si sentiva solo il respiro ancora ansimante del ragazzo.
Rientrò lei per prima e trovò Marco che si stava sedendo al tavolo. “Andiamo” gli intimò. Salutò tutti con un “ciao” squillante e quasi urlato. A Rodri, appena entrato, diede invece due baci sulla guancia: “Ciao campione”. Ebbe un pensiero anche per Lena: “Bisogna saper essere stronze, perché c’è sempre una più figa di te in giro, che ti può mangiare dal piatto”, le sussurrò.
Ignorò, invece, Ramon, che fece a Marco il gesto dello scrivere, e uscì seguita dallo sguardo di mezzo locale.
Aveva ancora la mano destra piena di sperma e tra le gambe un’eccitazione selvaggia e violenta che toccava a Marco sedare. Una volta in camera gli mostrò il palmo e se lo leccò. Poi baciò il marito che aveva gli occhi sbarrati.
“Scopami ora, ti dico domani”.
Mirella, Marco e lo specchio
A svegliarli fu il telefono.
“Buongiorno, è l’agenzia di autonoleggio e vi chiamo per darvi una bella notizia: abbiamo una BMW con pochi chilometri tutta per voi”, disse una voce scampanellante.
Marco ci mise un po’ a connettere i punti. Erano le otto e aveva dormito appena tre ore. Sentì il vino muoversi nel suo stomaco e l’urgenza di far pipì.
Alla fine riuscì a grugnire: “un ottimo” poco convinto.
“Sarete contenti, vedrete: auto di categoria superiore e senza maggiorazione. È per farci perdonare il disturbo”.
“La portate voi qui?”.
“Ci occupiamo di tutto noi, non si preoccupi: recupero della vecchia e consegna della nuova”.
“Bene allora sveglio mia moglie e ci prepariamo”.
“Non c’è fretta, signore: l’auto sarà pronta solo dopo- domani pomeriggio. L’avvisiamo noi, non si preoccupi. Stia bene”.
“Dopo domani? Ma scherza”.
Si accorse solo dopo qualche secondo che stava parlando a sé stesso. Dall’altra parte avevano chiuso.
Dopo essere passato in bagno, si distese accanto a Mirella che si era riaddormentata già a metà telefonata. Giaceva a pancia sotto, nuda. Ebbe voglia di morderle le natiche marmoree, ma si riaddormentò subito dopo anche lui.
A risvegliarlo fu un altro campanello, ma questa volta era Pedro alla porta.
“Holà, disturbo? Sono le due e volevo sapere se andava tutto bene. Poi oggi è lunedì, grandi pulizie e cambio lenzuola. Magari do anche un occhio all’aria condizionata”.
Marco, che aveva un velo di sudore sulla fronte nonostante il famoso impianto refrigerante, fece fatica a inquadrare l’uomo immerso nella violenta luce solare.
“Ehi Pedro, ero quasi in pensiero, sei sparito tutto il giorno ieri”.
“Grandi affari amigo. Qui la gente scopa il giovedì e la domenica soprattutto” disse sbirciando verso l’interno quel tanto che bastò a rubare la fugace immagine del seno e del culo di Mirella che si stava alzando dal letto.
“Ho saputo della macchina, mi spiace”.
“…”.
“Ho chiamato l’agenzia per un altro affare e ho pensato di chiedere per farvi un favore, ma vi eravate già sentiti”.
“Non sarebbe un affare privato?”
“È un servizio da portiere, lasciami fare. A proposito, ho portato anche la colazione, anche se dovrei dire pranzo. Non è inclusa nel pernottamento, ma come quella di ieri alla signora vi faccio uno sconto: 7 a persona, anziché 10. Va bene no?”.
Prese un vassoio dal tavolino esterno e lo porse a Marco che non si fece pregare: lo stomaco brontolava e occorreva quanto meno del pane per fermare l’azione corrosiva dell’acido lasciato dal vino.
“Quando avete finito, potete prendere il motorino di Morena e andare alla spiaggia, ce n’è anche una nudista non lontano se è di vostro gradimento” disse strizzando l’occhio. “Oggi calma piatta, potete anche fare il bagno. E sta sera baccalà da Ramon, se vi va”.
Scese il gradino della veranda e si girò indietro, ricordandosi di qualcosa: “al motorino ho fatto io il pieno prima. Sarebbero 15 euro…”.
“Ho solo pezzi da 100, facciamo poi tutto un conto”.
“Sì, certo, dovete mangiare… segno anche questo. Non ho neanche resto, mi sa”.
Mangiarono con calma sul patio del bungalow e poi seguirono il consiglio di Pedro di andare al mare. Durante il tragitto, così come a pranzo, stettero per io più in silenzio, immersi in pensieri liquidi e incoerenti, dominati dal fastidio di esser bloccati in quell’angolo di Spagna. Si susseguivano le immagini della sera prima, i fiori, Ramon che aspetta, Morena che ancheggia, la musica del juke- boxe a palla, Rodri, Lena e quella mano piena di sperma quasi secco. Marco attendeva la sua risposta dalla sera prima, ma si prendeva tempo, la temeva e la bramava. Mirella attendeva la domanda e pensava alle tante risposte possibili, nessuna delle quali escludeva la verità. Andavano verso Ovest, penetrando l’orizzonte terso e azzurrissimo, tanto che si aveva l’impressione di vedere l’Africa dall’altra parte del mare. O forse era solo il Portogallo o un semplice effetto ottico.
Cercarono la spiaggia nudista e non fecero fatica a trovarla. In Francia e in Catalogna ne avevano frequentate parecchie, alcune anche scambiste, ça va sans dire, ma più per il senso di libertà che dona andare in giro nudi che per l’eccitazione che provocano. Non c’è nulla di meno eccitante che una massa di corpi nudi, spiaggiati come leoni marini. A far la differenza in quei posti è sentirsi tra uguali, tra gente che condivide idee e morale. Ma quando capirono dove erano finiti restarono delusi: era un luogo per famiglie, dove i differenti erano loro. Ciò nonostante presero il sole e fecero il bagno, scambiandosi baci da innamorati.
“Mi dici di ieri?”.
“Semplice ho consolato un ragazzo e insegnato a una stronza a vivere”.
“ E cosa ti è piaciuto di più?”.
“La seconda. Anche se lo sconsolato era bello duro e avrebbe meritato più attenzione”.
“Insomma, hai fatto una sega in viaggio di nozze. E non a tuo marito”.
“Ti piace sottolinearlo e rimestarci dentro, vero? Del resto, non sono stata neanche una fidanzata modello. Quanto sei porco, marito mio, fai paura”.
“Ti prenderei a morsi, stronza”.
Lei gli sfiorò le labbra rapidamente con la lingua, si alzò di scatto e corse verso la riva.
“Devi prima prendermi”, gli urlò tuffandosi.
Entrando nella stanza, trovarono le lenzuola e le asciugamani cambiate, un bel profumo di fresco e dei fiori in un vaso. Erano rose questa volta e profumavano poco.
“Stai avendo più fuori qui che al matrimonio”, commentò Marco, che notò che la struttura dello specchio era fissata al muro con una specie di staffa che lo inchiodava nella sua posizione obliqua orientata verso il letto.
“Ma che roba strana, guarda qui”, disse più rivolto a se stesso che alla moglie. c’era del mastice ancora fresco e le cerniere della staffa sembravano appena uscite dal ferramenta. “Ma che lavoro. Perché?”.
Poi ebbe un’intuizione. Uscì dalla stanza e si infilò nella 11 sperando che fosse aperta. Lo era. C’era uno specchio uguale orientato allo stesso modo verso il. Letto, ma senza gancio al muro. Andò verso la parete confinante con la sua stanza, si tolse le scarpe e salì sul letto tastando il muro con le dita. Cercò a lungo, finché non trovò quel che cercava: un foro posto ad altezza della testa di un uomo di statura media. Si abbassò il necessario e guardò. Vide Mirella riflessa nello specchio, sedersi nuda sulla sponda ad asciugarsi i capelli e la sua schiena come muoversi al rallentatore. Del letto in maniera diretta, si vedeva solo la parte dei piedi.
“E che ti frega, Marco?”.
Fu la reazione di Mirella quando le raccontò tutto. “Anche noi possiamo fare lo stesso ora che lo sappiamo e a gratis. Solo che il nostro spettacolo da ora lo oscuriamo, se e quando vogliamo. Basta mettere un asciugamani sullo specchio”.
Il marito la guardò muto, ma interrogativo.
“Marco quante volte lo abbiamo fatto in pubblico?”.
“Ma questa è violazione della privacy”.
“È solo roba da guardoni. La differenza tra te e Pedro è che la tua modella da spiare l’hai sposata, lui va a prestito. Ora che lo sappiamo lo useremo a nostro vantaggio. E poi non voglio far casini”.
“Mirella, ti va se riprendiamo la macchina e andiamo in città a cenare?”.
“Voglio il baccalà”.
“Lo avranno anche in centro”.
“Voglio questo qui”.
Usò un tono allo stesso tempo dolce e definitivo, reso ancora più morbido dal suo sorriso pieno e brillante anche nella penombra della stanza.
“Pensiamo piuttosto a cercare un aereo in attesa della macchina. I giorni stanno finendo e non possiamo più allungare la vacanza, Marco”.
Mirella, Marco e Morena
La serata si preannunciava non diversa da quelle precedenti, ma tra l’inizio e la fine della notte accaddero molte cose notevoli che la resero la migliore da quando erano arrivati e una pietra miliare della loro storia. E non solo per il baccalà cucinato in tre modi diversi e per il vino più dolce e delicato di quello delle cene precedenti, ma per quell’atmosfera via via sempre più intima e un po’ trasognata che si andò creando. Erano ormai parte della clientela abituale e da questa, molto meno numerosa che nelle sere precedenti, trattati come gente del posto. Pedro era tornato a bere e spesso si sedeva con loro per due chiacchiere. Morena dimostrò di avere anche una lingua e parecchio veloce: dal semplice sculettamento quando passava, aveva iniziato a scambiare battute spiritose con i due sposi. Rodri, ovviamente, non si fece vedere e Ramon iniziò a giocare a carte scoperte, incurante di Marco.
L’oste suonò la chitarra un paio di volte e dedicò a Mirella un canto jondo, cantato come fosse un lamento di guerra, e una più contemporanea hit di Alejandro Sainz, quasi sussurrata. Che fosse lei la regina della festa non c’erano dubbi e che Ramon volesse essere il re anche meno. Tanto, che quando l’oste ritenne che Pedro si stesse facendo molesto con le sue continue domande e i suoi complimenti a Mirella, nei quali sottolineava un lei deferente contro il tu dato a Marco, gli disse un paio di parole all’orecchio che zittirono il cugino per il resto della serata. Mirella incassava le attenzioni con sufficienza e distrazione ed evitava sempre di guardare Ramon negli occhi, anche quando le versava, sempre più spesso, da bere. Rideva, si aggiustava i capelli dietro l’orecchio e si mordeva le labbra. Si lasciava andare, ma senza perdere il controllo.
Solo a Sonia, che se ne era stata sola e in disparte tutta la sera, sembrava importarsi del comportamento dell’oste che seguiva continuamente con gli occhi. Marco, invece, lasciava che le cose accadessero. Osservava in silenzio e si godeva l’idea di essere lui il prescelto di quella donna che teneva sempre tutti gli occhi incollati su di lei, ma aveva sposato lui. Solo gli estranei poterono pensare che ballare con Morena, che si faceva sempre più maliziosa, fosse una ripicca. Mirella sapeva bene che non avrebbe mai passato il segno se lei non avesse voluto. Che ballasse pure e si godesse l’ammirazione della barista, se la meritava. Ramon era figo, ma Marco, il suo Marco, lo era di più.
Fu durante uno di quei balli sempre più lenti e frequenti tra Marco e Morena, che Ramon si sedette vicino Mirella e , dopo un cin cin senza motivo, sparò i suoi versi da poeta d’osteria: “Sei straziante, perché sei stronza, il che ti rende ancora più bella e desiderabile. Ti pace far male”.
“Concetto complicato, ma afferro il senso. Anche questa è gratis?” gli chiese Mirella, senza girarsi a guardarlo.
“Questa no. Questa è perché ti voglio”.
“Sono una donna sposata. Non ti vergogni?”.
“A Rodri non è sembrato che tu lo sia. Ti ho vista”.
“Lo spionaggio è la specialità di famiglia, a quanto pare”.
“Più fai la stronza, più non ti mollo. Voglio la rosa e mi prendo anche le spine, una a una”.
“Ste poesie le dici anche alla cuginetta?”.
“Non ce n’è bisogno. Anche se in genere è una tipa silenziosa, quando voglio la faccio urlare. Come tutte”.
“Il poeta castigatore. Magari questa sera, però, non la sentirai” gli disse, dandogli un pizzicotto sulla gamba.
L’uomo ammutolì, ma si vedeva che avrebbe voluto gemere per quelle unghie affondate nella coscia nuda, che lo stavano lacerando. E non è detto fosse solo per il dolore che avrebbe mugolato: quel gesto inaspettato, di cui non capiva il motivo, lo aveva eccitato. Il bocciolo restava irraggiungibile, ma intanto aveva provato le spine direttamente nella sua carne.
Mirella lo piantò in asso e si diresse al centro del bar, dove iniziò a danzare di fronte a Morena.
“Ti va di andare a fumare tra donne?”.
“Ramon ha esagerato?”.
“Non si tratta di lui, ma di me e te”. Lo disse sorridendo, accogliente, dolce. Ed era sincera.
Quando furono fuori Mirella le sorrise ancora.
“A che ora chiudete?”.
“Se va bene all’una questa notte, mezz’ora al massimo ancora, se non ci sono rotture”.
“Ti piace Marco?”.
“Ah, è per questo”.
“Non è quello che pensi”.
“Molto, molto carino e anche molto educato, forse troppo. Mi ricorda il mio fidanzato all’alberghiero”.
“Ci sapeva fare?”.
“Posso stare solo con chi ci sa fare. Se no mi addormento”.
“E io secondo te ci so fare?”.
Morena spense la sigaretta fumata a metà con il tacco degli stivali e sbuffò il fumo verso l’alto con gli occhi che le ridevano, ma non disse nulla.
“Tra poco io e Marco andiamo e ci portiamo una bottiglia di brandy con noi. All’una e dieci, vienici a trovare, per un bicchiere tranquillo. Stanza…”
“… 12, lo so. Il brandy lo porto io”.
Una volta in camera – Marco vi era stato letteralmente trascinato dalla moglie, dopo un ultima bicchierata collettiva -, Mirella si appoggiò con la schiena alla porta e guardò intensamente il suo compagno.
“Stronzo” gli disse e volò uno schiaffo, ben assestato ma non violento.
Lui tacque. Sapeva il perché.
“In ogni caso tra 10 minuti sarà qui. Ma farai solo quello che ti dico io. Così saremo pari, almeno per questo viaggio di nozze”.
E Marco fece esattamente ciò che la moglie gli disse di fare. Appoggiò un telo sullo specchio, versò da bere alle donne, le osservò ridere, parlare come fossero vecchie amiche, guardarsi negli occhi e poi baciarsi. E restò seduto in poltrona quando le donne salirono sul letto e iniziarono ad esplorarsi sempre più a fondo, sempre più lentamente, ansimando sempre più intensamente. Osservava immobile, con il pene duro, fuori dalle mutande, ma non osava toccarlo: temeva di esplodere in poco e di perdersi il meglio.
Morena, con le ginocchia puntate sul materasso, teneva la testa tra le gambe di Mirella e allo stesso tempo le tormentava i capezzoli a piccoli tocchi delle unghie e dei polpastrelli. Si muoveva lenta come se avesse tutto il tempo del mondo e lasciava che le scosse di piacere risalissero a onde il corpo dell’italiana, che si contorceva con gemiti crescenti.
Marco aveva il fondoschiena di Morena in primo piano e voleva tuffarsi nella mischia, ma si alzò solo all’ordine della moglie.
“Leccala tu, deve essere dolcissima”.
Mirella ci aveva visto giusto: gli umori della barista erano densi, lucidi, mielosi nell’aspetto quanto nel sapore. Tanto la spagnola era calma con Mirella, tanto lui impetuoso con lei che le affondava il sedere sulla faccia come se avesse voluto farlo entrare dalla testa.
Seguirono minuti di piacere sommesso, che fu ancora Mirella a interrompere.
“Scooooopamiiii”, quasi urlò.
Marco non se lo fece ripetere e penetrò la moglie da sopra, mentre Morena si occupava ora del suo scroto ora dei seni di Mirella, mentre si dava piacere da sola.
L’orgasmo della giovane sposa arrivò presto e dovette sentirsi fino in Portogallo: fu un urlo, che Morena le strozzò in gola premendole delicatamente la mano sulla bocca e poi baciandola.
Marco si arrestò quasi subito e baciò la moglie ovunque potesse, sfinito più dall’aver trattenuto il suo coito, che per la fatica.
“Permetti, companera? La figa è bella, ma il cazzo è meglio”.
Mirella, languida e ancora scossa dall’orgasmo, accennò solo un sorriso, ma tanto bastò a Morena per spingere Marco a stendersi supino sul materasso e a cavalcarlo con una mossa rapida e decisa.
“Bada solo a non venire Marco. Falla godere, ma non venire”.
Come ci riuscì ? Non se lo spiegò neanche lui, ma fatto sta che, forse complice l’alcol, riuscì a trattenersi ancora. Del resto, anche Morena venne presto come Mirella.
Si stesero tutti e tre vicini a riprendere fiato, Marco ancora in erezione.
“Vuoi venire?” gli chiese Mirella.
“Domani. Sono sfatto e ho goduto tanto anche così”.
Morena si alzò e iniziò a rivestirsi, dopo aver baciato entrambi sulle labbra.
“Resta a dormire”, propose Mirella.
“Resterei a fare anche altro, ma ho due sdentati a casa che la mattina mangiano il pan y tomate solo se glielo preparo io. Quello vecchio poi si alza alle sei, puntuale come il treno svizzero sul quale ha pulito le latrine una vita intera e fa svegliare anche quello giovane che a due anni sembra già avere i pensieri nella testa”.
Raccolse la borsa e aprì la porta, ma prima di uscire si girò all’indietro.
“Prima mi hai chiesto se ci sapevi fare. Ci sai fare, ma già lo sapevo, per questo sono venuta. Dormite bene”.
“Concordo con te companera: il cazzo è meglio della figa, ma con te un pensierino lo farei” replicò Mirella.
Fu solo nel richiudere la porta, una volta fuor,i che Morena se ne accorse: “Ah, anche voi avete scoperto il trucco dello specchio”, disse indicando la suppellettile ricoperta dall’asciugamano. “Che si è perso Pedro stanotte, il porco, che si è perso. Ma il problema, domani, sarà Ramon” e richiuse piano, spegnendo la sua risata nel cuore della notte.
Mirella, Marco e gli altri
che li guardano
Pedro lo seppe solo dopo quello che si era perso. Era andato a letto prima degli altri e aveva avuto una notte agitata che il mattino dopo era stampata sul suo volto da condor. Sbrigò le sue faccende e solo sul tardi si avviò alla taverna. Ci trovò il solo Ramon, buio in viso. Si fece preparare la colazione per la coppia di sposi e nel frattempo parlarono del tempo e di altre sciocchezze.
Finché l’oste non ruppe gl indugi.
“Hanno scopato questa notte?”.
“Come ogni notte, immagino. Sono dei mandrilli quei due”.
“Ti sei goduto lo spettacolo?”.
“Ero a letto e non so. Ma che ti frega?”.
“Nulla”, mentì. Ma poi aggiunse: “quella troia di tua cugina è andata in camera con loro. L’ho vista nascondere il motorino e rientrare nel motel”.
“Quando te la scopi è tua cugina, le altre volte mia, anche se non lo è per davvero”.
“Lascia perdere Pedro”.
“Ti brucia?”.
“A quella me la faccio, fidati”.
“Osso duro e poi… c’è il marito”.
“Mi sembra una checca”.
“Mi sa che hai solo questa notte o al massimo due notti. Domani pomeriggio avranno la macchina. Dipende da quando partono”.
“Le macchine si rompono”.
“Già…”.
La conversazione finì con il peggiorare l’umore di Pedro, anche se lui stesso non ne capiva il perché. Alla fine che cosa gliene fregava a lui? L’italiana era fenomenale, ma lui era fuori gioco. Voleva solo i suoi soldi. Prima di bussare alla stanza con il vassoio pieno, aggiornò il conto con le due nuove colazioni e l’ultima notte e lo appoggiò tra i piatti.
Mancavano 10 minuti alle 14 quando Marco gli aprì, dopo 5 minuti abbondanti di insistenza. Aveva la testa che gli scoppiava per il brandy o semplicemente per la stanchezza.
“Mica hai anche un’aspirina, Pedro?”.
“Vado a prenderla. Bisboccia eh?… Ne ho prese un paio anch’io”.
“Lasciamela sul tavolino fuori… Ah, una cosa. Facciamo che domani mattina ti chiamiamo noi per la colazione, vale?”.
“Vale”.
Mirella dormiva ancora, come suo solito a pancia in giù. Marco, portata la colazione dentro, non trovò di meglio da fare che stendersi nudo accanto a lei, dopo aver tolto il telo dallo specchio. La leccò delicatamente tra le natiche sudate e poi sulla pianta dei piedi cavandone dei gemiti sommessi. Non voleva svegliarla, solo godere di lei, anche se a sua insaputa. Si masturbò continuando a leccarla con la punta della lingua dove gli capitava e appena venuto, si riaddormentò di botto.
A svegliarlo fu lei, con una tazza di caffè in mano, tre ore dopo. Pioveva e dalla vetrata della stanza era il grigio a dominare.
“Buongiorno, maritino mio. Di notte stallone e di giorno…”.
“…Coglione, lo so”.
“Ti ho conservato pane, formaggio e uova. Mangia e prenditi l’aspirina, magari. Era fuori sul tavolino”.
Marco si drizzò a sedere e si accorse che la testa andava molto meglio, ma fece fatica a capire perché aveva la mano appiccicosa.
“Ho chiamato l’agenzia di viaggi in Italia. Ci cercano un aereo”.
Marco la guardò trasognato mentre addentava il pane.
Appena spiovve, andarono a correre sulla spiaggia deserta e poi fecero il bagno in un’acqua che si rivelò più calda del previsto. Da lontano, mentre correvano tra le dune al ritorno sembravano due formiche impazzite che si davano la caccia. Almeno così apparvero a Ramon, che li osservava dalla dune prospicienti il suo bar. A Pedro, che li guardava dal retro del motel, facevano pensare a dei bambini. Dalla strada, passando in motorino, a Morena sembrarono semplicemente due innamorati. Nel vederli, si sentì bagnata tra le gambe.
Mirella, Marco e ancora Ramon
“Ti va se ce ne stiamo in camera, questa sera? Ci facciamo portare da mangiare come a colazione”.
Marco ne fu sorpreso, ma lo nascose alla moglie.
“Davvero non vuoi uscire? Se non ti va la taverna, possiamo farci prestare la macchina”.
“Preferisco qui, dopo tutto”.
Lo aveva detto con un’aria sibillina e pensosa che a Marco, alle prese con il condizionatore, sfuggì. Erano rientrati da poco e il sole stava iniziando a tramontare del tutto. Intorno, si sentivano solo i camion passare sulla strada principale, mentre dalla taverna non proveniva alcun suono. Il motel, poi, sembrava deserto e come abbandonato.
Marco cercò Pedro per per ordinare la cena, ma non lo trovò. Era nella taverna, insieme con i pochi avventori di quella sera. Anche il locale sembrava desolato e spoglio. Morena salutò l’italiano con un sorriso gioioso, mentre Pedro si limitò a un cenno del capo. Ramon era sulla porta principale a fumare una sigaretta e sulle prime non si accorse di lui. E quando lo vide lo ignorò.
“Solo, questa sera?”, gli chiese Pedro.
“Mangiamo in camera, decisione di mia moglie”.
Il portiere sembrò scettico verso quella scelta, ma si limitò a fare una sorsata di birra.
“Ci pensiamo noi, vero Pedro? Cosa vi prepariamo?”.
“Quel che c’è, ma vai sul leggero, Morena”.
“Ti dovresti sostenere, campione, con le notti che fai”. Se era una provocazione arrivò blanda a Marco, anche perché Pedro l’aveva accompagnata con una strizzata d’occhi che sembrava più bonaria che polemica. Alla ragazza giunse più diretta, ma scrollò le spalle.
“Vino?”
“Solito bianco”.
“Mezz’ora e ci siamo”.
La mezz’ora divenne un’ora più che abbondante, il pasto leggero un’insalata di polpo e un’astice intero, diviso a metà e ornato da mayonese, che troneggiava tra le papas bravas e le carote, mentre il solito bianco si era trasformato in una cava spagnola di discreto pregio. Alla camera 12, poi, non fu Pedro a bussare con il vassoio, né Morena. Fu Ramon.
“Vado io ad aprire”.
Quando Mirella se lo trovò davanti, si mostrò sorpresa, anche se lo aveva visto arrivare dalla finestra che dava sul cortile.
“Entro o metto sul tavolino?”.
“Lascia. Magari mangiamo sul patio, grazie”.
L’uomo appoggiò il vassoio e lentamente si rialzò. La sguadrò con occhi beffardi, ignorando completamente le mammelle che si intravedevano dalla larga cannottiera.
Lei sostenne lo sguardo e ripetè: “Grazie, ottima cena. Bastava la metà”. E si abbassò per prendere una rondella di carota dal piatto.
“A fine pasto, mischiate lo spumante con il brandy che vi ha portato Morena. Non solo cura le sbornie, ma le previene anche, parola mia”.
Mirella lo lasciò parlare senza fiatare, appoggiata mollemente con la schiena alla parete, un piede sopra l’altro.
“Altri consigli?”.
“Magari veniti a fare un giro al bar, dopo”.
“Mi basta qui. Del resto, chi mi vuole mi trova, a quanto pare”.
“Lo so io il gioco che giochi”. Non si attendeva risposta, ma gli arrivò.
“E quale? Voglio solo cenare in pace”, replicò portandosi la carota alle labbra.
Non le diede il tempo di reagire: le fu addosso in un attimo e le affondò la lingua in bocca, prima che ci arrivasse la radice. Lo lasciò fare per un po’, poi lo morse.
“Stronza”.
“Vigliacco”.
“La prossima volta ti avviso”.
“Farai bene” e fece per entrare. Marco, da dentro, non poteva veder tutto, ma aveva colto l’essenziale. Ramon, andando via, gli fece un cenno del capo e il gesto di segnare sul conto.
Cenarono al chiuso vicino alla grande finestra e bevvero tutto lo spumante. Dalla taverna arrivava a tratti la musica del juke-box e si avvertiva un brusio molto sommesso solo se ci si avvicinava alla porta. Poi fu il silenzio totale. Almeno fino quando non si sentì nitida la voce di Ramon che cantava in sordina, accompagnato dalla chitarra. Era ai piedi del patio, seduto su uno sgabellino e aveva tutta l’aria di voler restare lì.
“Lo facciamo entrare? Siamo rimasti senza vino e vedo che ne ha due bottiglie”.
Marco rispose, in qualche modo? Non se lo ricordava. Del resto, era solo un dettaglio insignificante.
In tre, si scolarono anche la seconda bottiglia di vino, ma prima che attaccassero la terza, Mirella e Ramon si erano già baciati almeno un paio di volte e sussurrati cose all’orecchio, sfiorandosi e palpandosi. Il brandy unito allo spumante preveniva forse le sbornie, forse, ma di sicuro dava piacevolmente alla testa così come i balli lenti e sensuali che la donna aveva alternato con i due uomini a turno e poi a tre, muovendosi nel mezzo dei loro corpi. Nella penombra densa della stanza si mescolavano muscoli tesi e lunghi di maschio a membra sinuose e rotonde di femmina, in una girandola lenta e ammaliante che stordiva per primi gli stessi protagonisti e incantò Pedro, appostato di fianco. Andavano avanti così da un po’, quando Mirella, forse memore del blocco di Senwa, si accostò all’orecchio di Marco.
“Ma con tutto ‘sto vino, non devi fare pipì?”.
In effetti doveva e poiché l’aveva conservato a lungo si prese tutto il tempo. Passando, mise un telo da mare sullo specchio.
Appena il marito fu fuori gioco, la canottiera larga di Mirella volò via, e così gli short e gli slip. A sfilarglieli baciandola con veemenza e toccandola nel profondo dell’intimità, era stato lo stesso Ramon, che capiva di dover fare in fretta. Solo quando lei fu nuda, pensò a sé stesso. Si sfilò maglietta e pantaloni e restò nudo, dritto ed eretto al centro della stanza.
Mirella gemette per la sorpresa. Non ne aveva mai visto uno così e sì che ne aveva visti tanti nella sua pur giovane vita. Non era solo di una stazza decisamente fuori dal comune, ma era percorso da vene e nervi che correvano per tutta l’asta e puntavano a un glande carnoso e protervo. L’impressione di potenza di quell’arnese era dettato più che dalla lunghezza, non meno di 20 centimetri in ogni caso, dalla larghezza. Mirella emise un altro gemito che era insieme di spavento, impazienza e piacere anticipato. Se lo sentiva già squassarle il ventre e se lo vedeva soffocarla, mentre con la lingua ne percorreva ogni singola vena.
Anche Marco, appena fu uscito dal bagno, non riuscì a staccare gli occhi da quel membro che aveva ribadito la gerarchia in quella stanza: un maschio alfa pronto a prendersi la donna alfa di un maschio beta il cui unico ruolo poteva essere assistere e al massimo far in modo che le cose andassero per il meglio.
“Ti piace?”, chiese Ramon con voce rauca. Anche lui era sopraffatto dall’eccitazione. Averle scavato poco prima la vagina fino all’utero con le dita lo aveva caricato all’inverosimile. Voleva possederla, farla urlare – non aveva detto che urlavano tutte con lui? -, piegarne l’arroganza a colpi di anca e di pube.
Mirella si limitò a guardarlo negli occhi. Mentre si avvicinava all’oste, sorrise, con una luce quasi diabolica negli occhi, all’indirizzo di Marco. Quando fu di fronte all’uomo, gli prese il membro nella mano destra e quasi facendo perno su quel bastone di carne si piegò in avanti per divorarlo. Glielo succhiò avidamente in quella posizione mugolando e riprendendo fiato a momenti alterni, finché non si inginocchiò davanti a lui, con lentezza, come vinta da una forza che la stava soppraffacendo. Poggiate le ginocchia sulla moquette, si sedette sul suo stesso culo e si appoggiò scroto e asta sulla testa, non senza aver guardato di nuovo Marco che a quella vista sussultò con lo stomaco in preda a un vuoto improvviso. Mirella non potette vedere il marito che cercava l’aria a bocca spalancata. La sua attenzione era calamitata da altro. In quella posizione lo scroto di Ramon, perfettamente rotondo e senza un pelo, le sembrò ancora più potente e desiderabile. Lo leccò a lungo, mentre lui allargava le gambe per renderle il compito più semplice, prima di occuparsi di nuovo del membro con una dedizione metodica ed evidentemente efficace a sentire i grugniti di piacere del barista. Prima lo leccava tutto intorno al grande, che poi prendeva in bocca stringendolo e titillandone il filetto con la lingua, poi scendeva lungo tutta l’asta, risaliva e finalmente lo inghiottiva quasi per intero ondeggiando con la testa in un avanti-indrè mai troppo lento e mai troppo veloce.
Marco si lasciò cadere sulla poltrona con gli occhi fissi su quello spettacolo con crescente ammirazione per la moglie che andava di pari passo a una gelosia divorante e allo stesso tempo eccitante. Se si fosse solo sfiorato sarebbe venuto. Non era la prima volta che vedeva la moglie impegnata in una fellatio ad un altro uomo, ma in quel momento scorgeva qualcosa di nuovo e mai successo. Lei sembrava essersi sottomessa a quella virilità, volerla adorare e omaggiare come mai aveva fatto con nessun altro. Gli sguardi iniziali verso Marco si erano ridotti fino a ignorarlo del tutto. Il marito non c’era. Esistevano solo la sua bocca e quel cazzo possente.
Ramon le prese la testa e ne accompagnò i movimenti per un po’ finché non si interruppe bruscamente, con una specie di ruggito.
“Ferma bocchinara, feeeerma o mi fai venire”, sussurrò a voce così bassa che Marco potette solo intuire quel che l’uomo aveva detto, ma sentì bene quel che disse dopo.
“Ti voglio venire in gola, ma dopo, ti devo prima aprire tutta”.
Usava un linguaggio crudo, fin troppo confidenziale, che Mirella di solito non accettava da estranei. Anche questo sorprese Marco. Aspettava il momento per unirsi alla scena, ma capiva che per lui non c’era ancora posto.
Ramon alzò Mirella quasi tirandola per le spalle e la spinse da dietro verso il letto. Lei lasciava fare, docile e soggiogata. Si lasciò anche girare con il viso verso l’uomo che quando se la ritrovò davanti non potette resistere a baciarla con foga e si lasciò poi aprire le gambe per le caviglie, dopo che era caduta sul letto. Ramon si puntò con le ginocchia, la sollevò di qualche centimetro e infine la penetrò con decisione. Mirella diede una specie di urlo soffocato, ma un attimo dopo gemeva e si contorceva come Marco non aveva mai visto farle. Quante volte venne? Perse il conto e non aveva senso tenerlo: passava da un orgasmo all’altro e quello successivo sembrava più potente di quello precedente. Teneva le braccia allargate sul letto e la testa rivolta verso l’uomo, gli occhi fissi nei suoi con un sorriso che era a metà tra la sfida e la gratitudine. Guardò Marco una sola volta, quando Ramon la fece girare e mettere a quattro zampe per penetrarla da dietro. Marco interpretò quello sguardo come un invito a unirsi. Si avvicinò alla moglie con il membro durissimo e sul punto di scoppiare e quando le fu vicino glielo porse per farglielo succhiare.
Lei lo guardò vacua, come assente. E disse una sola cosa: “i piedi”.
Marco non capì all’inizio e stava per chiederle cosa volesse, ma gli sembrò grottesco porle domande mentre un maschio la stava squassando e lei ansimava come una gatta che fa le fusa.
Poi capì e il suo stomaco precipitò in un altro vuoto abissale. Questa volta non era la sorpresa, ma sincera umiliazione. Mirella voleva che lui le leccasse i piedi mentre veniva scopata. Era quello il suo ruolo in quella stanza, al momento, niente di più. L’alternativa era andarsene o interrompere quell’amplesso sempre più selvaggio. Ebbe ancora un attimo di esitazione, ma sapeva già cosa fare. Andò dalla parte opposta del letto, si abbassò e iniziò a leccare la pianta del piede destro della moglie con il capo che ogni tanto veniva sfiorato dalla gambe dell’uomo che continuava a martellare la moglie con colpi secchi e potenti.
Non era ancora passato a occuparsi del piede sinistro che era già venuto. L’umiliazione subita, i gemiti della moglie, la padronanza di quell’uomo estraneo, il contatto della sua lingua con la pelle liscissima e saporita delle piante della moglie lo portarono al parossismo. Non potette trattenersi dal toccarsi il glande ormai torrido. Tre scrollate e inondò la moquette ansimando e aumentando il ritmo e la profondità delle leccate. Quando si riprese si spostò per raggiungere l’altro piede, ma non durò a lungo. Anche Ramon ne aveva abbastanza.
“Voglio venirti in gola”, disse semplicemente, l’oste.
Lei non se lo fece ripetere: si sedette prima sulla punta del letto, poi si inginocchiò per masturbare l’uomo e per leccarne ancora il glande. Si prese del tempo, non voleva accelerare le cose e voleva che Marco guardasse bene. Gli fece segno con la mano di avvicinarsi e di mettersi in ginocchio anche lui, di lato. Voleva che il marito vedesse bene quel che stava per succedere. Preso forse dall’orgoglio o solo per semplice comodità Marco, invece, si sedette sul letto ipnotizzato dalla bocca della moglie che mangiava quella verga pulsante che ora sembrava anche più grande.
All’improvviso Ramon si drizzò sulla punta dei piedi, sollevando i talloni da terra, e fu il diluvio. Il suo orgasmo fu un dilagare di piacere che colpì Mirella al volto, sui capelli, sul seno, sulle spalle, sulle labbra e naturalmente in bocca. Era uno sperma denso, caldissimo, cremoso stranamente dolce, come avesse aromi di frutta.
L’uomo accompagnava i fiotti con degli “ahaaa” rochi e poderosi che rimbombarono nelle orecchie di Marco.
Mirella, quando anche l’ultima goccia fu uscita, ripulì il glande con accuratezza e lo baciò. “Mi hai fatto morire” disse e si stese sul letto.
“Ma non ha ancora finito con te”, minacciò l’uomo sistemandosi di fianco a lei. Le baciò i capezzoli, poi la bocca e si strinse a lei.
Marco era ancora seduto, spalle alla coppia. Sembrava assalito da una stanchezza invincibile. Fu Mirella a destarlo dal torpore con una richiesta che gli arrivò come uno schiaffo.
“Vammi a prendere della carta igienica. Non vedi che sono tutta imbrattata di maschio?”. Sarebbe bastato dire “imbrattata”, ma ci aveva aggiunto di “maschio” come a voler sottolineare ancora una volta i ruoli in quella stanza.
Stupidamente, ma se lo sarebbe rimproverato solo dopo, alzandosi per andare in bagno non trovò di meglio da rispondere con un “no, non ho visto”. Portò l’intero rotolo e ritornò in bagno. Aveva bisogno di una doccia. La sua pelle era torrida e bagnata di sudore, come se fosse stato lui a martellare la moglie o a subire le martellate che lei aveva subito. Quando tornò nella stanza, ancora bagnato, i due stavano limonando. Ramon era di nuovo in erezione. Il suo pene tra le mani di Mirella era tornato in ottima forma e pronto a prenderla ancora.
E infatti passarono solo dieci minuti prima che Mirella si ritrovasse ancora con la vagina piena di quella carne nervosa e durissima, ma prima di farlo si concesse al marito, che sistematosi sul letto dalla parte opposta di Ramon, le baciava schiena, collo bocca, seni e quasi la implorò di scoparla. Poteva rifiutarsi? Anche se si sforzò di non darlo a vedere, era evidente che Mirella fosse impaziente di tornare a dedicarsi interamente all’altro uomo, al quale non mancò di prestare attenzione. Mentre il marito la penetrava la vagina da dietro, Ramon le riempiva la bocca sincronizzando il suo bacino a quello di Marco. Lei era in mezzo, priva di movimenti propri: beccheggiava, come una barca alla fonda, seguendo il ritmo che le imprimevano gli uomini. Era la fantasia di abbandono che aveva avuto fin dal momento che aveva deciso di darsi a Ramon e voleva viverla fino in fondo.
Appena Marco ebbe finito, riuscendo a staccarsi appena in tempo per non eiacularle nella vagina, Mirella si avventò letteralmente su Ramon. Lo baciava in bocca e gli stringeva le natiche affondandogli le unghia nella carne.
“Sfondami ancora, toro”, gli disse languida e quasi implorante. Scelse di cavalcarlo questa volta. Si sistemò sull’uomo dandogli la schiena, guardando fisso negli occhi Marco, che nonostante due venute era ancora in erezione.
“Leccami” gli ordinò quasi, anche se poi vi aggiunse un “amore”, che fece suonare la frase meno perentoria.
Marco non si fece pregare. Si inginocchiò ai piedi del letto e iniziò a picchiettarle il clitoride con la punta della lingua e a succhiarle le piccole labbra, fermandosi ogni tanto ad osservare come l’orifizio delle moglie fosse teso intorno alla spessa asta dell’uomo e quanto fosse grondante di umori. Passò a leccarle anche l’ano, quando lei si fu girata per cavalcare Ramon nell’altro verso.
Poche leccate e Mirella lo spinse via, delicatamente, con la mano: non voleva più. Era troppo presa dal godimento che le stava dando il barista e ogni altra cosa la distraeva. Marco restò sul letto, a guardare da vicino e riprese a masturbarsi. Venne ancora con sua grossa sorpresa, mentre Mirella andava avanti a gemere e lanciare urletti di piacere. Si ripulì e decise che per lui non c’era posto in quella stanza. La verità è che aveva bisogno di aria fresca e di staccarsi un attimo da tutta quella carne sudata e vibrante. Si versò una generosa dose di brandy e andò sul patio a bere e a fumare. Da fuori gli spasmi amorosi della moglie gli arrivavano un po’ ovattati, ma pur sempre vividi. Chiunque li poteva sentire.
Si addormentò sulla sedia, con la sigaretta ancora accesa nella mano e il bicchiere di brandy vuoto. Quando si svegliò il cielo era rosato e il buio della notte quasi del tutto vinto. Rientrò nella stanza, mentre Mirella stava finendo di ripulire con la lingua il pene dell’uomo che doveva essere appena venuto ancora. Poi gli appoggiò le labbra sulla bocca, per un bacio lungo, lento, profondo che diede a Marco un’ulteriore mazzata
“Dove eri finito?”, chiese in italiano al marito appena si accorse della sua presenza. “Questo toro mi ha sfondata per tutta la notte, sai?, uno spettacolo, ma non ne posso più. Ora voglio solo dormire” e si sistemò sul cuscino, sprofondando quasi subito nel sonno. Ramon le poggiò una mano sulle natiche, le strinse e poi si alzò dal letto.
“Femmina magnifica, amigo, magnifica” fece a Marco passandogli accanto. Si infilò i pantaloni e uscì senza girarsi. Marco abbassò le tapparelle e si stese sul lettino piccolo. Quello matrimoniale era un campo di battaglia devastato, con lenzuola grinzose, macchie umide e la forma del corpo di Ramon impressa nel materasso.
Mirella, Marco, Ramon e Morena
Benché fremesse dall’impazienza e dalla curiosità, Pedro si attenne agli ordini ricevuti il giorno prima ed evitò di bussare alla stanza numero 12. Verso le tre di quella giornata stranamente fresca, ancora una volta ci pensò Morena a farlo. A stento riusciva a reggere l’enorme vassoio per la colazione e anche lei bussò con i piedi come aveva fatto Pedro nei giorni precedenti. Nei piattini c’era cibo di ogni tipo, che sarebbe stato sufficiente a sfamare 10 uomini dopo una giornata di lavoro in miniera. Ma, soprattutto, c’era un’enorme caraffa di caffè. E fu su questa che i due sposi si buttarono per prima, chiedendone altro a Morena che li scrutava con uno sguardo curioso e sornione: erano svegli da un bel po’ e Marco aveva ripreso il suo posto vicino alla moglie. Morena scambiò un sorriso largo di intesa con Mirella, che era complicità femminile ma anche qualcosa in più, e uno più contenuto, a labbra serrate quasi, con Marco. Quando tornò, poco dopo, i due sposi avevano già fatto una veloce doccia insieme, durante la quale si erano più baciati che lavati, e stavano già mangiando di gusto, seduti al tavolino e rivolti verso il mare. Oltre al caffè e al latte, che prima aveva dimenticato, Morena aveva portato con sé anche Ramon.
“Posso?”.
Aveva in mano un mazzo di fiori coloratissimi e sottili e una piccola radio. “Ho visto che non ne avete una in questa stanza, che caprone mio cugino. È triste vivere senza la musica”.
Se Mirella fu sorpresa dall’improvvisata nessuno se ne accorse, mentre la faccia di Marco, era evidentemente turbata.
“Prendi una sedia”, disse lei con un tono serissimo e uno sguardo intenso che Ramon sostenne a fatica. “Anche tu Morena, ne abbiamo per 5 qui. Avete davvero esagerato ‘sta volta. Anzi più del solito”.
La ragazza sedette sul secondo lettino poiché le sedie erano solo tre e Ramon si mise di fianco a Marco, dal lato opposto a Mirella,. Parlarono di musica, della Galizia, della quale i tre cugini erano originari, del lavoro all’università dei due italiani, dell’oceano e del mare, di Goya e di Caravaggio. Ci fu anche un mezzo litigio tra i due cugini: Morena contestava a Ramon di non averla mai assunta e di pagarla in nero. Ramon si difendeva dicendo che in cambio le lasciava la massima libertà. Fu una discussione pacata alla fine: si vedeva che erano anni che la facevano. A calmarli ancora di più ci pensò lo spinello che Morena estrasse come per magia dai pantaloni e che si passarono tutti e quattro. Li interruppe Pedro con la scusa degli asciugamani puliti. Fu Ramon ad aprirgli e Ramon a mandarlo via con poche battute sussurrate, dopo avergli fatto lasciare la biancheria.
Pedro si allontanò mogio, senza tralasciare di guardare il telo sullo specchio. Che non osò toccare, benché avesse la voglia di strapparlo via. “Decidete pure voi, non mi intrometto, razza di maiali”.
“Grazie mille Pedro, sei sempre gentile”, si sentì almeno dire da Mirella, mentre usciva. Era sinceramente grata e sentì quasi della tenerezza per lui. Si alzò, tolse il telo dallo specchio, tornò verso il tavolo e baciò Morena, spingendola sul lettino e invitando Marco ad unirsi. Ramon se ne stette seduto a godersi lo spettacolo dei tre che si davano da fare concentrati sul corpo di Mirella, ma poi si alzò e quando lo fece la scena cambiò completamente. Mise le due donne a quattro zampe sul lettino e iniziò a leccarle alternativamente. Marco non ci mise molto a imitarlo e dargli il cambio. Si alternavano nel prendersi cura con la lingua di quelle due vagine esposte. Uno schema vincente che si ripetè quando dal cunnilingus Ramon passò alla penetrazione: le prendevano a turno, mentre le donne si cercavano tra loro e si baciavano, mangiandosi le lingue. Ogni volta che lo spagnolo entrava in una delle due, questa urlava di piacere. Non che Marco fosse inefficace, ma insomma, l’oste era un compressore inarrestabile e dotato di un ariete di sfondamento fuori dal comune. Anche Marco ne fu ammirato, tanto da concedersi una pausa caffè e sigaretta dentro la stanza, incapace di staccare gli occhi da quella scena. Non c’erano dubbi: quello era un toro. Quando Marco si riunì al gioco avevano cambiato posizione e trovò le due donne più aperte, più scivolose, più insaziabili. I maschi ogni tanto si fermavano esausti – vivaio anche Ramon aveva un limite – le donne inveì andavano avanti, dandosi piacere reciprocamente.
Per quanto tempo fecero l’amore? Non ne avevano idea. A fermarli fu, ancora una volta, Pedro che questa volta aveva una ragione validissima. Era arrivata la vettura dell’auto-noleggio e c’erano da sbrigare le pratiche. Erano le 17.30, giusto in tempo per Ramon e Morena di occuparsi della preparazione serale della taverna, che fino quel momento era rimasta affidata al portiere.
Nel cortile c’era una BMW azzurro scuro che sembrava mantenere le promesse fatte al telefono dall’agente della compagnia. La consegna della nuova auto e il ritiro della vecchia durò poco. Furono più le scuse reiterate per la sorte dell’Opel che le istruzioni per la macchina nuova. Ma tant’è, ora avevano un’auto: c’era solo da capire quando partire.
“Domani?”.
Mirella si strinse le labbra con i denti, mentre si guardava allo specchio per sistemarsi i capelli dopo la doccia. Si prese un po’ di tempo per rispondere, ma quando lo fece ebbe un tono affermativo e definitivo.
“Che senso ha affrettarci ormai, la prossima settimana si torna ai nostri impegni. Non stai bene tu qui?”.
Stava bene lì Marco? In fondo sì, stava bene anche lui. Ma di certo era Mirella quella che stava meglio. Ne era sicuro.
Si presero tempo per prepararsi e fare due passi sulla spiaggia. La loro escursione durò un’ora al massimo. Un tempo più che sufficiente a Ramon per occuparsi della BMW.
Mirella e Ramon
La serata fu di baldoria vera alla taverna, tornata ad affollarsi quasi come nel fine settimana. C’era anche dei francesi tra gli avventori, uno dei quali faceva il ricercatore alla Sorbona nelle stesse materie di Marco. Parlarono a lungo dei loro interessi, standosene spesso fuori a fumare, ma alla fine la musica del jukebox, ma soprattutto quella della chitarra, delle maracas e dei bongo portati da alcuni avventori, finì per conquistare anche loro. Anche Pedro si lasciò andare e tirò fuori una voce baritonale nell’intonare un paio di canzoni tradizionali andaluse. Mirella ballò spesso al centro della sala contagiando in quelle sue danze senza criterio, sfrenate e un po’ lascive, le altre donne presenti: inconsapevolmente avvertivano il senso di felicità e libertà che esse esprimevano in maniera spontanea e quasi selvaggia. Ramon e Morena si occupavano della sala e con Mirella e Marco si limitavano a scambiare sguardi d’intesa e complicità. Ramon seguì Mirella un paio di volte fuori, accompagnandola a fumare, e capitava si strusciassero tra loro, come fidanzati. Marco guardava da lontano, ma sembrava più un amico che un fresco sposo. Gli piaceva quella situazione? Dipende da come la si prende: di quello che pensavano chi sapeva non e ne fregava nulla; della moglie che di fatto si era accasata con un altro uomo molto di più. La gelosia lo divorava, ma allo stesso tempo gli teneva i sensi in allerta in un continuo stato di eccitazione e di desiderio oltre che di ammirazione per la moglie. Adorava il suo modo di porsi al centro dell’attenzione e di lasciarsi credere presa, vinta. La conosceva fin troppo bene per non sapere che le carte le dava sempre e comunque lei, a prescindere dalle intenzione degli altri, a partire da quelle del suo stesso marito. Era anche ora così? Ne era abbastanza certo, ma non l’esserlo del tutto lo faceva soffrire. Giocando così al limite, sul bordo del precipizio, i rischio di perderla giocando era concreto. Mirella guardava il marito guardarla e si beava delle sua inquietudine così come godeva delle attenzioni di Ramon, che si faceva sempre più protettivo e presente, quasi fosse lui lo sposo. Era una situazione nuova anche per lei: non aveva mai avuto due uomini di cui disporre in contemporanea e fuori dal letto. Quando, già fidanzata con Marco, frequentava il suo ex i suoi due uomini erano separati, lontani tra loro e mai rivali, poiché entrambi sapevano con chi dei due lei avrebbe continuato la sua strada. Anche ora era chiaro, ma Ramon non era uno da raccontarsi di essere solo il secondo o l’altro. Stava a lei gestire la situazione e questo la eccitava ancora di più, così come la eccitava pensare che in realtà in quella taverna c’era il suo harem che comprendeva anche una bellissima donna e potenzialmente Pedro, che si sarebbe accontentato anche di un suo sputo
La festa improvvisata andò avanti fino alle due di notte con ricambi di pubblico quasi continui. I gruppi o i singoli che andavano via erano stati sempre rimpiazzati da altri che arrivavano, ma passata la mezzanotte i ricambi avvenivano a ritmo sempre più lento finché non rimase quasi più nessuno. Mirella e Ramon erano fuori, già da un po’, a baciarsi in maniera quasi oscena, quando Morena salutò l’ultimo cliente, tolse il grembiule e li raggiunse per salutarli. “Domani ho da fare presto, mi spiace ragazzi”, disse a entrambi, ma in realtà guardava Marco che era sopraggiunto provando a sfuggire Pedro con il quale aveva passato l’ultima mezza’ora a scambiarsi battute salaci su temi inaspettati per due latini quali il calcio, le auto e le donne.
Quando Mirella e Ramon li videro si avviarono verso la stanza numero 12. Era chiaro che l’oste vi avrebbe passato anche quella notte.
Che cosa prese a Marco all’improvviso? Come se non se l’aspettasse, raggiunse la moglie e letteralmente la trascinò sulla veranda della stanza, anche se con delicatezza.
“Ma sei impazzito?”.
“Mirella, siamo in viaggio di nozze. Una notte insieme da soli, la passiamo?”.
“Ne passeremo tante, ma questa notte no e dopo ‘sta scenata non sarebbe in ogni caso la notte che vorresti”.
“Ti rendi conto che mi stai facendo cornuto in luna di miele? Manca solo che ti fai scopare con il vestito bianco. Cazzo sembrate due fidanzati”.
“Dagli con ‘sto cornuto. Ti piace così tanto? E allora, va bene, lo sei due volte, anzi tre, perché lo eri anche prima di sposarmi”.
Mirella era evidentemente contrariata, quasi furente, ma si contenne e si calmò in un attimo, mente Marco fece finta di andare verso l’auto. Era un gesto come un altro per stemperare e uscire dalla situazione obiettivamente imbarazzante nella quale si era cacciato da solo. E infatti, ora ce l’aveva con sé stesso, più che con lei. Era stato orgoglio e chissà cosa, non lo sapeva. Sapeva però che quelle frasi alle quali non aveva pensato mai prima di dirle e le immagini che evocavano – lei scopata con il vestito da sposa, lei che ha un fidanzato diverso da lui in luna di miele – gli avevano procurato un’erezione di ferro. Come al solito, del resto, quando la cornutaggine, come lui la chiamava, gli si presentava di fronte. Era certo di amare la moglie anche perché il loro rapporto era così ed era certo di essere riamato da lei.
Ramon, che era rimasto in disparte con Pedro a qualche metro, evitò anche di guardare e raggiunse Mirella al cenno del capo di lei.
Pedro che non sembrava aver capito niente se non che anche quella notte ci sarebbero stati i fuochi d’artificio lanciò la proposta di un bicchiere della staffa in camera. La verità è che questa volta non voleva restare escluso dal party e si era inventato un modo per intrufolarvisi. A Marco sembrò una buona idea per prender tempo e quanto meno per ricomporsi.
“Ok, ok, buona idea. Andate a prendere da bere”, disse Mirella entrando con Ramon.
Marco e Pedro
Quando la coppia di uomini tornò la porta era chiusa con il chiavistello.
“Ehi” fece Pedro, “che scherzo è?”
“La signora ha cambiato idea, fatti un giro Pedro”, disse Ramon da dentro.
“Non dire cazzate, fai entrare almeno me” fu la volta di Marco.
“Non posso”.
“Mi stai prendendo per il culo?”.
“Non avevo in mente te per questo, ma se ci tieni potrei farci un pensierino”.
“Mirella, sei d’accordo?”.
“La signora ha cambiato idea”, melodiò lei da dentro.
Marco guardò la porta come a soppesarla, ma non disse una parola. Sembrava stesse facendo dei calcoli.
“Non pensare nemmeno a provarci di sfondarla, caballero. Se non ti rompi prima una spalla ti scateno addosso tutta la Guardia Civil dell’Andalusia. La signora ha cambiato idea e mi sa che comanda lei, no?”.
Accompagnò le parole scuotendo il secchio delle pulizie pieno di ghiaccio e bottiglie di birra, con un pezzo di lardo posato in cima, come a dire “ne abbiamo per consolarci”.
Marco lo seguì verso la piscina, a testa alta, quasi volesse dissimulare, ma senza trattenersi dal girarsi ogni tanto verso la porta. Era stato messo in punizione dalla moglie per la sua scenata. O forse no: lei aveva già deciso che le cose sarebbero andate così. Quante volte avevano immaginato lei da sola con un altro. Del resto, con Attilio, il suo ex, non era stato già così? Lo avrebbe scoperto a suo tempo quando lei lo aveva deciso e a insistere ora si sarebbe solo reso più ridicolo.
Si sedettero sul bordo della piscina-pozzanghera mettendo i piedi a mollo.
“Alla tua, amigo” gli disse Pedro passandogli una bottiglia stappata con i denti. “Pensavo di usare il cavatappi della stanza e non ne ho portato uno, ma tanto…”.
“Alla tua Sancho”, replicò Marco scatenando la risata del suo compagno.
“Mi gusta Sancho. In fondo ci manca solo il ronzino e siamo perfetti”.
Andarono avanti un po’ a scambiarsi punti di vista sulla vita, barzellette e silenzi – che avevano da dirsi in fondo alle tre di notte? – per un’oretta, mentre dalla stanza arrivavano gemiti, sospiri e urletti di piacere.
“Certo che la privacy è un altro pezzo forte del tuo resort deluxe” si sentì di commentare Marco.
“Dovevo insonorizzare meglio, dici? Ma non sempre capitano clienti così porci, con rispetto parlando, e ho messo i lavori di isolamento acustico al terzo posto, dopo la Jacuzzi ultimo modello e la tv a 80 pollici in ogni stanza”.
“Fossi in te, penserei a rivedere la lista, albergatore”.
Precipitarono di nuovo nel silenzio, che Pedro pensò a rompere dopo un altro gemito di piacere che si era levato nel cielo stellato sopra il rumore dell’oceano.
“Amigo mio siamo nella stessa situazione io e te, siamo uguali, non te la prendere”.
“Sei cornuto anche tu? Perchè io lo sono”.
“Eheeee, ne ho avuto la mia parte anch’io. Pensa che una volta beccai la mia ex moglie con un cliente e un lavorante che se la scopavano a turno in una delle stanze, tenendola legata al letto con un guinzaglio… Quando mi vide lei pensò solo ad aggiustarsi il collare intorno al collo e a dire “cazzo ci fai qua, non dovevi tornare domani?”, mentre il lavorante saltava via dalla finestra. Avevo dei lavoranti una volta, sai? Comunque… il fatto è che a te piace, amigo mio, li conosco quelli come te, io mi incazzavo davvero e insomma, va là, non è questo che ci rende uguali, non le corna”.
“E per cosa saremmo uguali?”
“Quello che conta in questa faccenda è chi sta davanti e chi dietro la porta di quella camera da letto. Noi siamo fuori e senza figa, a sentire solo come gode quella santa donna, ubriacandoci come vitelli piagnucolosi”.
“Forse hai ragione tu Pedro” disse Marco vuotando la bottiglia. Fu per prenderne un’altra dal secchio, ma ci ripensò.
“Basta birra tra poco vado in orbita con tutto sto gas. Ma come fai a berne tanta Sancho e a non scoppiare?”.
“Scorreggio molto”, spiegò l’oste con una risata cavernosa che copri anche i gemiti di Mirella.
“Quello a volte lo si capisce, credimi. Ma non credo funzioni così”.
“Che vuoi? La pancia mi resta piatta, anche se mando un secchio di papas bravas all’aglio. Sempre stato così. Sono 69 chili da quando avevo 18 anni e non mi smuovo anche se mangio e bevo come tre uomini messi insieme. E se penso che a quell’età avevo anche un chilo di capelli ricci sulla testa posso dire di essere pure dimagrito”.
“Quante cazzate dici Sancho. Mica hai del vino o del whiskey?”.
“Solo birra amigo, quelli articoli lì li hanno al bar, ma mi sa che l’oste è impegnato e Morena ha chiuso la porta”.
Marco afferrò con decisione per il collo un’altra Estrella e ne prosciugò la metà in una sorsata, con disgusto e rassegnazione.
Nel cielo, in alto, passava un aereo verso Ovest, verso l’Oceano aperto e l’America. La nostalgia delle cose non vissute assalì Marco, che seguì le luci del velivolo finché non si confusero con le stelle. Sentiva lo sguardo un po’ beffardo di Pedro addosso, ma non gli dava fastidio, né soggezione. Era un fatto e basta, uno dei tanti di quella notte e del suo strano viaggio di nozze.
A rompere il silenzio, fu di nuovo il portiere.
“Mi dici cosa ti piace del farti scopare la moglie?”.
Senza abbassare lo sguardo Marco sembrò pensarci su, ma conosceva già la risposta. E con sincerità diede quella.
“Mi arrapa e basta, non lo so”.
“Ne ho conosciuti tanti come te qui al motel e un’idea me lo sono fatta.
“Il portiere di notte oltre a farsi le seghe sui clienti, si fa anche le idee a loro riguardo. Il Siglo d’Oro del teatro spagnolo non è mai morto…”.
Pedro, ignorando la dotta ironia dell’italiano, andò avanti per la sua strada.
“Siete tutti un po’ froci, ma non lo sapete o non volete ammetterlo. Vi fate prestare la figa dalle vostre donne e prendete il cazzo loro tramite. Nel corpo restate uomini, anche se cornuti, ma nell’anima siete checche e a tanti basta così. Altri, finiscono per fare pompini insieme alla moglie. Ne ho visti alcuni, sai?”.
“Da picaro a psicologo senza neanche uno scorreggio di mezzo a fare da separatore. Bel salto, Sancho”
“Non sottovalutare Sancho, caballero, ammesso per davvero che io sia lo scudiero e tu il Don. Ho fatto le scuole grosse a Salamanca, io” e sottolineò Salamanca con una s da serpente sibilante e una sorsata di birra.
“E poi, come sei finito alla Huelva?”.
“Quando capii che una cravatta al collo per otto ore mi avrebbe strozzato, ho mollato tutto senza finire. Meglio così, meglio picaros veri che finti contes”.
“Cosa studiavi?”.
“Lascia perdere, amigo, chi se lo ricorda”.
Non lo diede a vedere, ma Marco era sinceramente colpito. Provò a cercare sul telefono le facoltà universitarie di Salamanca, ma il telefono gli si spense tra le mani. Batteria esaurita. Come si sentiva esaurito lui, del resto.
“Non è che sto grand hotel ha un’altra stanza vuota solo per questa notte? Me ne andrei a dormire e nel mio letto non potrò entrarci ancora per un pò, penso”.
“Prendi quella a fianco”, propose Pedro, mentre un altro urletto di Mirella si mise in competizione con un antifurto scattato chissà dove in lontananza.
“Per carità”.
“Hai ragione, amigo”.
“C’è quella dalla parte opposta del cortile, ma costa il doppio”
“Ma vaffanculo Pedro” replicò Marco avviandosi nella direzione indicata.
Il portiere scoppiò nella sua risata catramosa e non aggiunse altro che ”vai, fai bene, la porta è aperta, lo sono tutte. Eccetto una, ma tanto lo sai”. Poi pescò un’altra bottiglia dal secchio per le pulizie e si accese una sigaretta, che fumò con la schiena stesa sul prato acrilico, a braccia allargate. Sembrava un tacchino schiantato. Dovette pensarlo anche lui e con autoironia innescò la sua risata possente.
Il mattino dopo, cioè qualche ora più tardi, era rasato e pronto ad affrontare un’altra giornata. Marco invece dormiva e dormiva anche Mirella. Solo che lo facevano in due stanze diverse. Ramon era andato via abbastanza presto e nell’incrociare il cugino fece quasi finta di non vederlo. L’oceano era tornato a rumoreggiare e la BMW era diventata giallina: dall’alba soffiava un vento da Sud che portava frammenti di Sahara nel Regno di Spagna.
Mirella e Marco, stanza 3
Fu Mirella la prima degli sposi a entrare nel nuovo giorno, complice l’agenzia viaggi italiana che insistette a far squillare finché lei non rispose. Fece fatica a ricordarsi perché Marco non fosse lì con lei e quando lo capì sentì un fremito piacevole tra le gambe e una piccola fitta alo stomaco. Si vestì in fretta e, uscita dalla stanza si diresse al casotto, per chiedere notizie del marito a Pedro.
“Buongiorno, signora. Il marito lo trova lì”, disse indicando la stanza . “Ma lo lascerei dormire ancora. Per la colazione si dovrà arrangiare con quello che ho io. Il bar è chiuso: Morena arriverà tardi e Ramon è scappato non so dove”.
Non c’era che dire: Pedro si stava comportando da perfetto portiere d’albergo che ostenta indifferenza sulle stranezze e sui segreti, se vogliamo chiamarli così, dei suoi clienti. A scalfire la sua aura di professionalità era solo lo sguardo che ogni tanto andava sul principale oggetto dei suoi desideri, di cui Mirella era portatrice sana: i piedi.
“Va bene quel che hai Pedro, non ho tanta fame. Alla fine è presto. Hai detto che la stanza è la 3?”.
Pedro fece cenno di sì e la seguì con gli occhi, mentre ancheggiando impercettibilmente, lei percorse il breve cammino per raggiungerla. La camera era immersa in un buio profondissimo, reso ancora più nero dal contrasto con il bagliore esterno. Marco russava a pancia sotto. Lei si gli si stese accanto e lo abbracciò. Si addormentò anche lei dopo qualche minuto e a risvegliarla fu proprio Marco, un’oretta dopo, con una carezza sulla spalla.
“Meglio che andiamo, non è la nostra stanza”.
Lui era già sulla porta, quando lei si decise ad alzarsi.
“Lo sai che ti amo, vero?”.
“Lo so Mirella e anche io”.
“Hai voglia di scopare?”.
“Ho voglia solo di una doccia ora e immagino che tu di scopare ne abbia abbastanza”.
“È un toro”.
“Questo l’ho capito e ti ha stregato, si direbbe”.
“Mica la starai facendo tragica, ora?”.
“Solo una constatazione”.
“Amare il mio uomo, non significa che non possa essere la puttana di un altro”.
“E lo sei?”.
Perché glielo aveva chiesto? Per sfida forse o solo per sentirselo dire?
“Sì e mi piace esserlo”.
Marco esitò. Il colpo allo stomaco lo aveva avvertito come qualcosa di fisico e di concreto. Ma poi si diresse verso la moglie, le presa la mano sinistra, sulla quale campeggiavano fede matrimoniale e anello di fidanzamento, e la baciò.
“Sei una stronza incredibile”.
“Ti piaccio per questo”.
“Non è vero. Mi piaci per come fa i pancake con la banana. Ne vorrei uno ora”.
“Andiamo a cercarli in città”.
Ma non ci andarono. Il Motel de la Luna aveva uno strano potere: era difficile staccarsene. Pranzarono sul patio, alle due passate, con una fideuà di pesce preparata da Morena e presero il sole in piscina. Pedro passava spesso, ma stranamente restava silenzioso.
Fece solo una domanda: “Padroni di restare quando volete. Ma solo per sapere: avete deciso quando partire?”.
“Non ancora Pedro, sarai il primo a saperlo, appena lo sapremo anche noi”.
“Ho segnato tutto, basta che mi dite e sono pronto”.
Trovarono ancora la biancheria cambiata in camera e il telo sullo specchio. Pedro voleva la sua fetta di torta, ma non più spiando dal foro nella parete.
Mirella, Marco, Ramon, Pedro e Morena (che non c’è)
Come andarono quella sera e quella successiva? In maniera non molto differente da quelle precedenti circa le bevute, i balli, le chiacchiere e le risate. Le varianti essenziali furono che Morena ebbe problemi a casa e fu temporaneamente rimpiazzata da una mingherlina taciturna e che Ramon e Mirella sparivano nella 12 prima della chiusura della taverna, ma lasciando la porta aperta. Marco si tratteneva con gli altri avventori fino a tardi, ma poi si univa alla moglie e al suo amante, anche se per poco. Benché Mirella fosse in quei momenti più accogliente con lui delle sere precedenti, si sentiva comunque di troppo tra quei due e una volta avuto il suo orgasmo, finiva per annoiarsi. Meglio andare nella stanza 3 che era anche più fresca. Pedro se ne stava alla larga, ma i suoi occhi erano solo per Mirella.
Cos’altro accadde? Beh, almeno un altro paio di cose che avevano in comune come un senso di presagio e di speranza allo stesso tempo, una specie di nuovo inizio nel quale tutto si rimescolava per restare eguale, ma in versione 2.0.
Pedro, la seconda sera, aveva preso coraggio e affrontato Mirella. Tra un ballo e l’altro aveva giocato la sua carta: “Mi accontento di guardare, signora, me lo lasci fare”.
“Non dipende solo da me. Tuo cugino non vuole”.
“E allora posso chiederle un’altra cosa?”.
“Se mi dai del tu e mi chiami Mirella”.
“Va bene Mirella… va bene. Ecco… ehm posso leccarti i piedi?”.
“Ora?”, gli chiese scoppiando a ridere e guardandosi intorno per vedere se qualcuno avesse potuto ascoltare.
“Quando vuoi. Mi accontento di quello”.
“Come ti accontentavi di guardare fino a un secondo fa”.
“Vorrei di più, ma so che lei…che tu non sei per me o io per lei”. Il tu a Mirella non gli veniva facile.
“Non buttarti giù Pedro, mai dire mai”.
Al portiere si illuminarono gli occhi nerissimi, che sembrarono sporgere dalle orbite altrettanto scure.
“Vuoi davvero leccarmeli?”.
“La prego, non la farò pentire”.
“Domani nella stanza tre alle 17”.
“ E Marco?”.
”Ti sembra sia un problema?”.
Brindarono bottiglia contro bicchiere. Cinque minuti dopo, Pedro era nel bagno del suo alloggio nel quale gli bastò trattenersi per meno di un minuto per raggiungere una delle sue gioie maggiori da un po’ di tempo a quella parte.
Anche Ramon, quando fu sa solo in stanza con Mirella, aveva proposte.
La sparò dopo la fellatio sontuosa che lei gli aveva fatto in ginocchio mentre lui sedeva in poltrona. Era durata almeno mezz’ora durante la quale non c’era stata nessuna cellula dell’asta, del glande e dello scroto dell’uomo che non fosse stata sollecitata più volte dalle cellule della bocca e della lingua di lei. Il risultato era stato un’eiaculazione maestosa e la conferma per Mirella che il gioco lo dirigeva alla fine sempre lei.
“Non dovevi farmi venire”.
“Sei un toro, ti riperderai presto”.
“Ascolta Mirella, che ne dici di venire in Galizia con me per qualche giorno? Ci devo andare per cose mie, ma ho rimandato finora a causa tua”.
Lei apparve sinceramente sorpresa, ma anche lusingata.
“Mi stai chiedendo di fare una fuga d’amore con te?”.
“Una specie. Solo per cambiare aria. Poi potresti tornare in Italia da lì o… restare. Insomma quel che vuoi”.
“E mio marito?”.
“Non mi sembra sia un problema”.
“Potrebbe esserlo per me”.
“Hai bisogno di un uomo vero, Mirella. Nel pensarci se parlartene, mi preoccupava di più il tuo lavoro. So che hai impegni”.
Mirella ci pensò su appena un attimo, con gli occhi che le brillavano di una luce intensa e quasi selvaggia.
“Per il lavoro in qualche modo farò. E quando si partirebbe?”.
“Dimmi tu. Ci andiamo in macchina, non ho fretta”.
“Facciamo domani?”.
“Bene, per me va bene”.
“Alle 17, all’entrata principale del bar. Anzi no, facciamo alle 17.30”.
“Va bene, ci fermeremo per strada. La Galizia è lontana”.
“Dove precisamente?”.
“Vicino Pontevedra. Ne sarai incantata, è una Spagna diversa da questa e sto pensando di tornare in pianta stabile lì”.
“Anche io ho qualcosa da chiederti però”.
“Quel che vuoi mia regina”.
“Prima di partire metti in regola Morena”.
“Ma è tutto a posto con lei”.
“A posto un cazzo, Ramon. Se mi vuoi la metti a posto domani mattina prima di partire. Non so come funzioni da voi, ma voglio contratto firmato dai sindacati o cose del genere”.
“Ma sei comunista?”.
“Non puoi rapirci entrambe, anche se in modo diverso. O me o lei. Domani alle 17.30 mi fai prima vedere il contratto firmato e poi si va”.
Brindarono bicchiere contro bicchiere prima, intrecciando le lingue dopo. Marco arrivò mentre ancora si baciavano e si accasciò in poltrona fumando. Ramon, che nel frattempo aveva recuperato l’erezione, fece godere più volte Mirella, dei cui seni e dei cui piedi si occupò ampiamente e gioiosamente il marito.
Pedro e i piedi di Mirella
Dice Morena che Pedro stava stappandosi la seconda forse la terza Estrella da 50 cl del pomeriggio, quando un pensiero fastidioso gli attraversò la mente. Erano quasi le quattro e dai due italiani non c’era stato alcun segno di vita. Restò indeciso per un attimo se andare a dare un’occhiata subito o aspettare ancora una mezz’oretta, ma un timore lo assalì. “Se quel figlio di puttana ne avesse avuto abbastanza di avere le corna e ha fatto una casino?”. Cioè, insomma, la cosa gli apparve improbabile, ma l’inquietudine che sentiva era molto concreta. Rimise la Estrella nel frigorifero, con un certo rimpianto che ammorbidì accendendosi la sigaretta che aveva arrotolato prima. Si avviò caracollando verso la stanza numero 12 e a ogni passo l’assenza di qualsiasi rumore accresceva la sua ansia. Bussò prima timidamente, poi in maniera più vigorosa alla porta ricevendo in cambio sempre la stessa risposta, ovvero nessuna. Pedro era indeciso sul da farsi, ma si ricordò della promessa fatta e lasciò stare. “Saranno stanchi”, pensò e la sua preoccupazione si concentrò sull’appuntamento delle 5. Controllò ancora lo stato della stanza numero 3 e tornò al gabbiotto dove la Estrella lo aspettava. In fondo era uno strano pomeriggio: neanche Ramon si era fatto ancora vivo e della taverna si occupava solo Morena che aveva recuperato il suo posto già ad ora di pranzo con un’aria baldanzosa e un sorriso che non gli aveva mai visto. Pedro stappò finalmente la birra e, probabilmente, pensando ai piedi di Mirella, dovette sentire un tuffo nelle parti intime.
Mirella, Marco, Ramon, Pedro, Morena e i bigliettini
Eccoli di nuovo i due sposi. Nel momento esatto o giù di lì nel quale Pedro pensa alle sue estremità, il piede destro di Mirella, calzato elegantemente in ballerine con i lacci alla francese, sta calcando il gradino del finger che aggancia l’aereo alla sala arrivi dell’aeroporto della loro città, in Italia. L’agenzia non solo gli ha trovato i biglietti aerei, ma anche un autista a La Huelva. Piove e l’aria sa di polvere da sparo ed erba tagliata di fresco. Deve aver fatto caldo come in Andalusia, ma sicuramente con meno occasioni per dimenticarsene. Marco segue la moglie tenendo sotto braccio uno jamon serrano intero, che hanno comprato a Sivilla la mattina, nei vicoli intorno alla piazza dove l’autista li ha lasciati, dopo averli raccolti alla stazione di servizio nei pressi del Motel de la Luna. Gli avevano dato appuntamento per le 6.30 del mattino, ma lui era già lì ad attenderli.
Un po’ prima delle 17 sono su un altro taxi, quello che li sta portando a casa loro, all’ultimo piano di un palazzo di nove in una zona che una volta era quasi periferia e oggi è quasi centro. Dal loro terrazzo si vedono le montagne e i rumori della città arrivano attutiti: niente Oceano, ma neanche camion. Quando aprono la porta dell’appartamento, che sa di chiuso e delle rose del terrazzo, è più o meno quando Pedro e Ramon entrano nella stanza numero 12. Non c’è stato bisogno del passpartout: la porta era aperta. Sul tavolo, trovano un fiore e un foglio piegato, rigonfio di banconote.
“Grazie per la magnifica luna di Miele che ci avete regalato. @Pedro nella busta c’è la tua parte: 210 euro per i 7 pernottamenti al loro vero prezzo, + 30 euro per 6 colazioni al loro vero prezzo. In più 1 euro per l’aspirina e 1 euro di mancia: la meriti per davvero, ma te la sei ampiamente anticipata da solo dal buco nella parete e questo è quel che resta. Circa i piedi ce ne sono tanti, anche migliori dei miei, ma so che la differenza è la testa che li porta. Mi spiace, magari prossima volta li assaggi.
@Ramon: amico e amante mio, sei un toro fantastico e forse il migliore. Magari passeremo una volta o l’altra a La Huelva o a Pontevedra . Chissà. Anche tu troverai la tua parte: il fiore. Le cene le ritengo offerte, come ogni galantuomo dovrebbe fare con la sua amante. Sei un galantuomo, vero? Ovviamente vale per il bere anche e per entrambi: io e Marco non siamo separabili. Mi offenderebbe il contrario.
PS: un uomo vero è quello che sa stare accanto alla sua donna in ogni modo, anche quando fa male. L’uomo così già ce l’ho e l’ho sposato.
Un bacio da me a entrambi dove meglio preferite immaginarlo e un caloroso abbraccio da parte di Marco.
PS2: alla BMW pensateci voi. È pagata e l’agenzia avvisata.
Vostra (per una settimana) Mirella
Morena, aveva già ricevuto il suo biglietto, in una busta chiusa recapitata dall’autista che ha accompagnato gli sposi a Sevilla.
“Dolce Morena, non ci dimenticheremo mai di te. Vieni a trovarci in Italia, ti aspettiamo, anche con i tuoi sdentati, se non puoi lasciarli. Casa nostra è aperta (non dare il nostro indirizzo a quei due e non dirgli neanche di questo biglietto). A quest’ora dovresti aver firmato il contratto: buon lavoro. I 500 euro, dici? Sono la nostra mancia: abbiamo finito i contanti e per oggi non possiamo prelevare tutto quel che meriti. Un bacio da entrambi sul viso e uno per ciascuno dei monumentali capezzoli che hai”.
Mirella e Marco e l’abito da sposa
“Che troia” dice Ramon, piegando il biglietto che gli ha passato Pedro dopo averlo letto.
“Che troia puttana” conferma e rincara il portiere.
“Che troia dolcissima”, ha pensato Morena allungando 10 euro all’autista.
“Che troia eccezionale che sei moglie mia, di fatto ora ti fai anche pagare”, le sussurra Marco, mentre la abbraccia stretto, appena chiusa la porta di casa dietro di loro. Lei ricambia l’abbraccio con ancora più forza, affondando la testa tra il collo e la spalla di lui. Quella è casa loro ora, ma prima ancora lo era dei genitori di lei. Si rivede per un attimo bambina e per un attimo, brevissimo ma violento, guarda la porta dello studio nel quale il padre restava chiuso per ore a studiare e lavorare. Piange? No, pensa solo: “ciao papà”, a denti serrati.
Poi, sussurra:
“Che troia sono. Come potrei darti torto marito mio? Peccato tu non mi abbia visto succhiare la bestia di Ramon in abito da sposa”.
“Ma sei seria? Dici davvero?”
“Chissà… comunque sia dovrai vedermi prima o poi farlo. Serve solo trovare uno adatto”.
“Ma sei pazza? Non se ne parla”. La sua erezione immediata lo smentisce subito. Come gli può credere la moglie se il suo stesso “amichetto” è sempre pronto a tradirne le intenzioni?
“Facciamo solo che poi lo troveremo quello giusto per la nuova cerimonia di nozze. Restiamo a casa questa sera?”, propone Mirella.
E così fanno. Quella notte e molte di quelle dopo vanno a letto presto e da soli.
Ma quanto potrà durare?
FINE
PS, questa volta mio (la voce narrante). La proprietaria della tintoria in persona si è impegnata a pulire le macchie sull’abito da sposa, ma senza successo e non si è voluta far pagare. Offrendole la colazione, Mirella ha soddisfatto la sua curiosità di sapere come se le fosse procurate su quel vestito da sogno. “Semplice latte, signora. Semplice latte di toro”, è stata la risposta. L’anziana donna ha pensato a un liquore spagnolo, Mirella ha sentito le gambe molli nel dirlo. Ma tutto questo Marco, ancora non lo sa.